Parmenide, interviste

Interviste a: H.G. Gadamer, V.Hösle, G.Pugliese Carratelli, E.Severino

DOMANDA: A cavallo tra il VI e ilsec. a.C. visse in una città chiamata Elea, a Sud di Napoli, un pensatore di cui si dice che fosse un medico e naturalista: Parmenide. Già prima di lui i filosofi ionici - Talete, Anassimene e Anassimandro - avevano cercato il principio, l'archè che avrebbe dato origine al mondo. Si erano accumulate ipotesi cosmologiche sugli elementi primordiali che avrebbero dato origine alla realtà di tutte le cose. Parmenide segna tuttavia una svolta radicale rispetto a queste indagini, perché?

GADAMER: Perché Parmenide ha compiuto un nuovo passo rispetto ai primi inizi del rischiaramento e dellaspiegazione del mondo. Si è cioè chiesto: che cos'è l'Intero, che cos'è l'essere dell'Intero? Si racconta come sia nato il mondo, e prima cosa c'era? Abbiamo anche noi oggi lo stesso problema con il Big Bang, quando gli scienziati ci raccontano di questa esplosione originaria da cui tutto è cominciato. Noi incompetenti domandiamo: e prima cosa c'era? Allora il fisico sorride; la nostra domanda tuttavia resta. Anche Parmenide si è posto la stessa domanda che noi oggi ci poniamo: che cosa c'era prima? E ha detto: c'era il nulla? Ma cosa significa? Questa è la domanda di Parmenide.

 

DOMANDA: La filosofia eleatica prende il nome da Elea, colonia della Magna Grecia. Ci può narrare le vicende che portarono alla fondazione di questa città e che resero possibile lo sviluppo di una vita culturale così rigogliosa, segnata dalla presenza di pensatori come Senofane, Parmenide, Melisso e Zanone?

CARRATELLI: La nascita di Elea è legata ad un episodio della conquista persiana dell'Asia Minore, della Costa dell'Asia Minore su cui sorgevano città greche. Siamo alla metà del VI secolo a.C., 546-45 a.C. i Persiani conquistano, con il loro Re Ciro, tutta questa fascia costiera, assoggettano le città greche. I Focei, che abitavano appunto la città di Focea della Ionia, non vogliono sottostare al dominio Persiano e decidono di raggiungere i loro compatrioti che già si erano stabiliti nel Tirreno settentrionale, ma non vanno a Marsiglia, che era una colonia focea, ma vanno in una colonia della Corsica, Alalia. Da lì loro molestano il traffico commerciale degli etruschi e dei loro alleati cartaginesi . Si viene ad un conflitto e questa battaglia nelle acque di Alia viene vinta dai focei; ma il prezzo della vittoria è molto alto ed essi capiscono che non potranno resistere ad ulteriori attacchi; abbandonano la Corsica, vengono in Italia, e dopo alcune vicende si stabiliscono in un punto della costa della Campania, e danno vita ad una città: Yele o Elea. Qui nasce questa città rigogliosa per commerci, per traffici, che richiama ioni dall'Asia Minore (viene tra gli altri il filosofo Senofane) e probabilmente la venuta di Senofane ha influito sulla formazione di questa ricerca di pensiero, di questa concentrazione di uomini di studio, che non senza la influenza, non senza la suggestione della scuola pitagorica di Crotone, dà vita ad una scuola filosofica di cui il principale esponente è Parmenide, che trae alimento dalla dottrina pitagorica ma poi le dà uno sviluppo nuovo. Pitagorismo ed Eleatismo, dottrina pitagorica e dottrina eleatica sono le due grandi fonti che hanno alimentato il pensiero di Platone.

DOMANDA: Parmenide scrive un poema in esametri di cui ci sono pervenuti circa 150 versi. Questo testo é stato considerato il vero e proprio inizio del pensiero filosofico. Prof. Severino, quali possono essere i motivi che ci spingono ad interessarci della filosofia greca, e addirittura delle sue forme più antiche, e in particolare di un filosofo come Parmenide?

SEVERINO: La sua domanda tocca un tasto dolente, cioè quello della nostra cultura, la quale pensa di potersi disinteressare del pensiero greco, pensa di non aver nulla a che fare col pensiero greco. Invece si tratta di rendersi conto che non solo la nostra cultura, ma l'intera nostra civiltà, si sviluppa all'interno delle categorie che sono state espresse per la prima volta dal pensiero greco. Ci sono anche di segnali che fanno capire l'importanza dei greci per noi, e in particolare di Parmenide. E' vero che oggi qualche autore, per esempio Popper, si interessa di Parmenide. Ricordiaòo quell'intervista di Popper con Einstein, dove Popper chiamava Einstein Parmenide. C'è quindi il segnale che non si tratta di uno sconosciuto. Ci sono dei segnali nei quali Parmenide appare in modo straordinariamente insolito. Ad esempio Platone lo chiama "Venerando e Terribile" - un'espressione di Omero. Aristotele, che in genere è così compassato, dice che quelle di Parmenide sono maniai, cioè sono follie, e si può dire che è l'unica volta che Aristotele si lascia andare così verso un pensatore, lo chiama folle, pazzo. Eppure questa pazzia di Parmenide è si può dire il punto di riferimento al quale l'intera storia del pensiero filosofico ha fatto capo.

 

DOMANDA Hegel afferma: con Parmenide inizia la vera filosofia. Qui un uomo si libera dalle rappresentazioni sensibili e dalle opinioni , nega a queste ogni verità e dice: soltanto la Necessità, l'Essere, è il Vero. Aristotele però lo considerava un folle. Come intende lei questo paradosso?

HÖSLE: Vede, per il senso comune é una cosa abbastanza evidente che il mondo nel quale noi viviamo è la realtà, e anche la speculazione filosofica dei presocratici preeleatici, sebbene essa si rivolgesse all'archè, cioè al principio, e in questa maniera trascendesse l'immediatezza del sensibile, rimane in un certo senso ancorata alla sfera del senso comune. Come principio viene concepito qualcosa che sembra essere alla base dei fenomeni che ci appaiono in Parmenide invece il pensiero nega in maniera incredibilmente nuova la realtà, nega per esempio la realtà del movimento. Noi tutti abbiamo visto il movimento, abbiamo visto degli esseri che si muovono, Parmenide invece dice: il movimento non esiste. Lo dirà soprattutto Zenone, ma probabilmente queste idee erano già implicite in Parmenide. Questa è un'offesa e al senso comune e alla percezione, e io direi che senza questa offesa, senza la disposizione a negare la validità della percezione sensibile, non può esserci filosofia. E' una rivoluzione incredibile che è accaduta con Parmenide, il pensiero raggiunge un'autonomia in se stesso e da questa autonomia parte per comprendere l'essenza dell'essere, non dall'essere come ci appare, ma dal concetto di essere si parte per determinare la realtà. E se l'essenza della filosofia è questo momento apriorico, questo prendere coscienza della capacità del pensiero di analizzare e di comprendere le strutture dell'essere, allora si può dire che Parmenide è il primo filosofo della storia.

 
Parmenide, Poema della natura, D - K B2: «Bisogna che tutto tu sappia e il cuore che non trema della ben rotonda verità, e le opinioni dei mortali in cui non c'è vera certezza. Orbene io ti dico, e tu dopo averlo ascoltato prendi cura del mio discorso, quali sole vie di ricerca siano pensabili. Quella che dice che l'essere è e che non è possibile che non sia, e questo è il cammino della persuasione che si accompagna alla Verità; e quella che dice che non è e che è necessario che non sia, e questo io ti dico che è un sentiero inscrutabile, né infatti potresti conoscere ciò che non è - non è infatti possibile - né dirlo. Lo stesso infatti è pensare ed essere.»
 

DOMANDA: Parmenide considera pura apparenza ciò che cade sotto i nostri sensi e oppone a questa apparenza la sfera dell'essere. Ciò che egli definisce con linguaggio poetico: "il cuore che non trema della ben rotonda Verità". Prof. Gadamer, ci può dire come ha pensato l'essere Parmenide?

GADAMER: Il pensiero dell'essere in Parmenide consiste in ciò: egli con esso pensa precisamente che il nulla non sia un pensiero possibile.

Diels -Kranz B 2: «Per la parola il pensiero bisogna che l'essere sia, solo esso infatti è possibile che sia e il nulla non è. Su questo ti esorto a riflettere. Innanzitutto da questa via di ricerca ti tengo lontano, ma anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando: gente dalla doppia testa, l'incapacità infatti nei loro petti dirige la errabonda mente, essi sono trasportati, sordi e insieme ciechi, attoniti, gente incerta, per i quali essere e non essere sono ritenuti lo stesso e non lo stesso, e di tutte le cose il cammino è reversibile»

Resta solo da pronunciarsi sulla via che l'essere è; su questa vi sono moltissimi segni, che essendo ingenerato è anche indistruttibile; e infatti integro nelle sue membra, è immobile e senza fine. Non era infatti, né sarà, perché è, ora, tutto insieme, uno, continuo. Infatti quale origine gli vuoi cercare. Così è necessario che sia assolutamente o che non sia affatto. E neppure dall'essere la forza della convinzione potrà mai ammettere che nasca qualcosa di diverso da esso; perciò né nascere né perire gli ha concesso Dike, la Giustizia, disciogliendo i legami, ma lo tien fermo. Intorno a queste cose non v'è altra decisione possibile, è o non è".

 

DOMANDA: Affermando che l'Essere è e il non essere non è, Parmenide introduce nel discorso il rigoroso principio d'identità: A è uguale a A, e quello di non contraddizione, A non è non A, principi che con Aristotele diverranno il vero e proprio fondamento della logica formale. Una barriera insormontabile viene così a separare la barriera dell'Essere della Verità da quella del non essere, dei discorsi contraddittori, delle opinioni. Che cosa intende Parmenide per Verità?

HÖSLE: La filosofia di Parmenide è basata su una stretta e rigorosa divisione tra doxa e aletheia. Evidentemente questa divisione era già stata fatta prima di lui, in quanto già la filosofia preeleatica distingue il sapere dei saggi dall'opinione dei molti. Però mai ha assunto questa dimensione radicale che raggiunge in Parmenide. Infatti per Parmenide esiste solo un'unica verità che è quella che noi possiamo comprendere attraverso il concetto e tutto il resto dello scibile, è, paragonato con questa aletheia. E' un grande problema dell'interpretazione di Parmenide che cosa abbia inteso con doxa; con doxa si intendono opinioni false, oppure opinioni meramente probabili? Questo è un problema che rimane ancora irrisolto e allo stato attuale della ricerca su Parmenide, noi non possiamo dire se la seconda parte del famoso poema di Parmenide Peri physeos che trattava dei doxa, voleva essere una critica di visioni della filosofia della natura anteriore a lui, o se, come per esempio ha creduto Reinhardt, rappresentasse delle ipotesi che secondo Parmenide non possono avere la pretesa di verità assolute, ma solo ipotesi plausibili per noi che dobbiamo anche in parte passare la nostra vita nel mondo delle doxai. Se la doxa è qualcosa di errato e di totalmente sbagliato, oppure se è qualcosa di meramente probabile che non può avere la pretesa di verità assoluta, è un problema filologico che si può dire irrisolto. Io mi sono occupato abbastanza di Parmenide confesso che non sono arrivato ad una conclusione chiara riguardo a questo problema. In ogni caso è chiaro cosa Parmenide intende per Aletheia. La verità è per Parmenide qualcosa di indubitabile, di assolutamente sicuro, che non può essere negato, che sarà sempre così, e che la ragione deve necessariamente riconoscere. Parmenide è un pensatore forte ed ha un forte concetto di verità.

 

DOMANDA: Professore, il fatto che la verità fosse appannaggio degli dei e non degli uomini e che gli uomini avessero solo opinioni, era un pensiero abbastanza comune nell'antica Grecia. Qual'è il fatto nuovo che accade con Parmenide?

CARRATELLI: Il fatto nuovo è che l'uomo può conquistare la Verità. La mente, la mente dell'uomo diventa partecipe di quello che è proprio della divinità. Questa è la grande conquista, una grande conquista anche per un altro aspetto: perché le vecchie scuole Ioniche - la scuola di Mileto per esempio, Anassimandro, Anassimene - hanno certo avuto molta importanza, ma si preoccupavano soltanto di conoscere le archai, i principi, che presiedono alla vita della natura e dell'uomo. Con Parmenide il problema non è più quello di stabilire se tutti gli esseri, tutto il mondo in cui vivono gli uomini e tutto quello che appartiene alla natura sia formato di acqua o di aria o di fuoco o di terra: se vi sia un elemento, un archè, un principio o invece vi siano quattro elementi, tre elementi ecc. Tutto ciò è considerato del tutto estraneo a quello che è il vero sforzo per la conquista della verità. E questo diventa uno sforzo puramente intellettuale, interiore; quindi prescinde dall'osservazione della natura, o meglio osserva la natura alla luce, alla luce di questa visione intellettuale.

 

DOMANDA: Parmenide espone la sua dottrina della verità in forma di una rivelazione divina, nei versi introduttivi del suo poema, che sono versi di intonazione mitico-religiosa. Prof. Pugliese Carratelli, ce li può illustrare?

CARRATELLI: Parmenide parla di questo suo viaggio su un cocchio tirato da veloci cavalle che lo portano su per una strada, una strada che ovviamente non è una strada reale, bensì l'immagine di un cammino ideale, verso una porta che è custodita da Themis e Dike, vale a dire dalle due personificazioni dei principi, della vita religiosa e della vita etica. Themis è il principio religioso, il canone della religione, il principio regolatore della religione, Dike è il principio regolatore della vita, della vita sociale, della vita come la concepiva un greco. Questa porta si schiude e Parmenide giunge al cospetto di una Dea, la quale gli dice che lei gli insegnerà a ricercare la Verità.

 
Diels - Kranz B 7: «Le cavalle che mi portano fin dove vuole il mio cuore mi conducevano poiché le dee mi ebbero guidato sulla via molto famosa che per ogni città porta l'uomo che possiede il sapere. Là mi slanciavo. Là mi portavano le sagaci cavalle tirando il carro e le fanciulle additavano il cammino. L'asse nei mozzi mandava un suono stridente, tutto in fuoco perché premuto da due ruotanti cerchi da una parte e dall'altra, ogni volta che le figlie del sole, abbandonate le case della notte, affrettavano il corso verso la luce liberando il campo dai veli. Ivi è la porta che mette ai sentieri della notte e del giorno, e un architrave e una soglia di pietra la puntellano e si leva in alto riempita da grandi battenti, di cui la Giustizia che molto punisce ha le chiavi che aprono e chiudono. Ad essa le fanciulle rivolsero dolci parole e abili la persuasero a togliere per loro in un baleno il chiavistello serrato dalla porta che spalancandosi aprì l'immenso vano dei battenti, facendo girare in un senso e nell'altro gli assi di bronzo nei cardini fissati con perni e chiodi. Là subito attraverso la porta le fanciulle diressero lungo la strada carro e cavalle. La dea mi accolse benevola. Nella sua mano la mano destra mi prese e mi rivolse la parola dicendo: "O giovane, condotto da guide immortali che con le tue cavalle aneli alla mia casa, sii il benvenuto. Non è una sorte funesta che ti ha condotto a percorrere questa via che in vero è fuori del cammino degli uomini, ma Themi, la legge divina, e Dike, la Giustizia. Bisogna che tutto tu sappia, e il cuore che non trema della ben rotonda verità e le opinioni dei mortali in cui non c'è vera certezza»

Di questa dea sono state tentate varie identificazioni: si è pensato a varie divinità, a personificazioni di concetti, a immagini di divinità olimpiche, ma a me pare evidente che qui si tratti proprio di Mnemosine, di questa Daimon, di questa dea che presiede alla vita dell'intelletto e che assicura l'immortalità. Nella dottrina orfica, l'acqua di Mnemosine che sgorga dal lago di Mnemosine, dal lago della memoria divinizzata, della memoria personificata e quella che affranca dal ciclo delle rinascite che quindi affranca dalla esperienza del vivere e del morire, dell'alternarsi di vita e morte e invece apre all'iniziato questa via, ripeto, questa ideale via, dà possibilità di questa ascesa a cui appunto allude Platone nella Repubblica.

Diels- Kranz B 8: «L'essere, come potrebbe esistere in futuro, come potrebbe essere nato? Se fosse divenuto non sarebbe, né si estingue la nascita e la morte scompare. Ma immobile, costretto nei limiti di vincoli immensi è senza principio né fine, poiché nascita e morte furono respinte lontano, le allontanò la vera certezza. Perciò saranno tutte soltanto parole quante i mortali hanno posto, credendo che fossero vere: nascere e perire, essere e non essere; e cambiare di luogo e mutare lo splendente colore.»

DOMANDA: Prof. Severino, nei suoi scritti lei ha colto un nesso che legherebbe la dottrina dell'essere all'antica esigenza di trovare un rimedio contro il dolore e contro l'angoscia della morte. Come si articola questo nesso?

SEVERINO: Il problema della vita è innanzi tutto la terribilità del dolore. Allora non dico che l'unico valore della teoria consista nel suo essere semplicemente uno strumento in base al quale, conoscendo come stanno, le cose si fa argine contro il dolore. Dico che, proprio perché la teoria intende essere verità e cioè non una teoria qualsiasi ma la teoria assolutamente vera, proprio questo consente di andare incontro al dolore con occhio diverso da quello che gli uomini posseggono quando ancora non sanno: la nostra morte è profondamente diversa dal modo in cui moriamo quando sappiamo di andare nel niente. Questo vuol dire qualcosa di eccezionale, e cioè che con i greci gli uomini cominciano a morire e quindi a nascere in modo diverso da come gli uomini nascono e muoiono prima dei Greci, prima di saper qualcosa del niente. Allora i greci evocano questo significato terribile radicale, il significato del niente, e lo evocano nella sua contrapposizione infinita all'essere, e cioè lo evocano come l'assoluta negatività che non ha alcunché dell'Essere. In questo modo il processo del mondo acquista un carattere estremamente angosciante. Il greco, evocatore della minaccia estrema, è insieme il greco che va alla ricerca del rimedio contro la minaccia estrema. E Parmenide, evoca l'estrema minaccia, la contrapposizione infinita dell'Essere e del niente, ma insieme evoca il modo di costruire un rimedio contro questa minaccia. Il rimedio è la metafisica e l'ontologia di Parmenide.

DOMANDA: Torniamo sulla questione dell'essere. Quali sono i segni che ci permettono di riconoscerlo?

SEVERINO: Se l'Essere è assolutamente opposto al niente, allora la conseguenza di Parmenide, la prima conseguenza, il primo dei semata, come egli li chiama, il primo dei segni è che è immutabile, eterno, incorruttibile, ingenerabile. Perché? Anche qui Parmenide non si limita ad affermarlo. Perché dice - e qui l'attenzione deve diventare massima - se si generasse o si corrompesse, esso sarebbe stato niente e tornerebbe ad essere niente; ma l'Essere non è il niente, dunque è impossibile che sia stato niente, che torni ad essere niente, e questo vuol dire che è impossibile che non sia e questo vuol dire che è eterno, ingenerabile, immutabile.

Diels - Kranz B 8: «Come sarebbe nato e da dove? Dal non essere non ti permetterò né di dirlo, né di pensarlo, infatti dell'Essere non si può dire né pensare che non è. Quale mai necessità lo avrebbe spinto, proveniente da nulla, a nascere prima o dopo? E inoltre non è divisibile perché è tutto uguale. Né vi è da una parte un di più, né da una parte un di meno che possa impedirgli la contiguità di sé con se stesso, ma è tutto pieno di essere, perciò è tutto contiguo, difatti l'essere è a contatto con l'essere»

DOMANDA: Taluni hanno obiettato davanti all'affermazione di Parmenide, "l'essere non è il non essere" che si tratti solo di un'affermazione tautologica, in cui insomma non si farebbe altro che ripetervi il soggetto senza aggiungervi niente: si predica cioè l'essere dell'essere. Qual'è la forza logica di questa affermazione che sembra tautologica?

HÖSLE: La tautologia non è qualcosa di cattivo, benché le frasi tautologiche possano sembrare noiose, banali. Vale la pena di riflettere sul fatto che, dal punto di vista della logica formalem il rapporto tra assiomi e teoremi, in una teorica matematica, è un rapporto tautologico: se valgono gli assiomi, valgono i teoremi. Se io le enuncio i cinque assiomi di Peano, tutte le frasi vere e dimostrabili dell'aritmetica seguono da questi assiomi. E' una tautologia dire: "Se valgono gli assiomi di Peano, allora è vero che esiste un numero infinito di numeri primi". Però dimostrare concretamente che dagli assiomi segue questo teorema non è tanto facile, e nella storia della matematica non si è ancora riusciti a dimostrare molti teoremi che seguono dagli assiomi. Ciò vale secondo me anche per Parmenide. La genialità di Parmenide è stata di dedurre dal principio "L'Essere non è il non-essere", la qualità dell'essere, e credo che questa sia la cosa veramente nuova: Parmenide è il primo filosofo che argomenta. Non si può dire che i Milesi argomentassero seriamente. Ci sono induzioni e riflessioni, ma una vera argomentazione stringente e rigorosa si trova solo con Parmenide. E dall'idea che l'Essere è e che l'Essere non può non essere, Parmenide riesce a dedurre in maniera coerente qualità dell'Essere, per esempio la sua staticità; perché se l'Essere si muovesse sarebbe in un momento e nell'altro non sarebbe ancora; e ciò comporterebbe la contraddizione che abbiamo detto prima. Si può dire quindi che Parmenide ha scoperto una tautologia che ha la forza in sé di poter fondare determinazioni dell'Essere.

DOMANDA: Finora abbiamo visto le caratteristiche dell'essere, ma nel terzo frammento del poema ci troviamo di fronte ad una definizione ancora più essenziale: "La stessa cosa è pensare ed essere". Qual è il valore filosofico di questa affermazione?

Credo che la frase espressa nel frammento 3 dell'edizione di Diels prova: "Sono la stessa cosa il pensiero e l'Essere", sia una delle frasi più fondamentali ed importanti della filosofia europea, anzi direi che è una delle frasi più importanti di tutta la storia dello spirito umano. Perché? Che cosa vuol dire questa frase, prima di tutto? La frase, secondo me, significa una equivalenza, nel senso logico della parola, fra essere e pensiero. Ciò vuol dire, secondo Parmenide: ciò che noi pensiamo è essere questa sarebbe una posizione realista, cioè noi non possiamo pensare qualcosa che non è, perché, come dice nel suo poema, il non essere è proprio ciò che non è e come tale non può essere pensato. Il pensiero ha bisogno di un oggetto; noi possiamo pensare solo ciò che è. Però il rapporto non è solo un'implicazione,è anche una replicazione (si tratta cioè di una equivalenza), in quanto secondo Parmenide non solo tutto ciò che pensiamo è, ma anche tutto ciò che è può essere pensato. non esiste secondo Parmenide un essere inaccessibile al pensiero. C'è un equivalenza fra essere e pensabilità: ciò che è, è pensabile, e ciò che è pensabile, è.

Al di là di questa equivalenza, sembra anche trattarsi di una identità tra le due sfere, tra essere e pensiero- in quanto la caratteristica principale di questo essere è che è unico, e in quanto è un unico indifferenziato, il pensiero non può essere qualcosa di secondario che viene aggiunto all'essere.

Se il pensiero venisse aggiunto all'essere, allora ci sarebbero due esseri, l'essere e il pensiero; e proprio per ciò, per Parmenide essere e pensiero devono essere due aspetti della stessa cosa. E qui si capisce anche perché la discussione, che è stata spesso svolta nell'ambito della filologia classica, se Parmenide fosse un materialista o un idealista, è una discussione sbagliata. Parmenide è al di là di questo conflitto, perché per lui essere e pensiero,materia e concetto, sono due facce della stessa cosa.

Diels -Kranz B 3: «Lo stesso infatti è pensare e essere. Per la parola e il pensiero bisogna che l'essere sia, solo esso infatti è possibile che sia e il nulla non è. Su questo ti esorto a riflettere. E' la stessa cosa pensare e il pensiero che è, infatti senza l'essere in cui è espresso non troverai il pensare. Niente altro infatti è o sarà all'infuori dell'essere»

DOMANDA: Parmenide ha stabilito l'identità di essere e pensiero. Pensare in greco si dice noein. Prof. Gadamer, come si raffigura Lei questa identità?

GADAMER: Noein: questa è l'espressione greca per pensare, non per pensare veramente; noein è una parola comune, ma non nel senso di ragione o di intelligenza filosofica; noein è questa sensibilità dell'animale che realizza attraverso il naso "che-c'è-qui-qualche-cosa". Inseparabile questo noein dall'essere, cioè non è qualcosa sull'essere, ma è l'essere stesso. In questo senso, direi, noi cominciamo forse a capire perché, nella lunga serie delle qualità dell'essere che sono descritte nel frammento ottavo, alla fine troviamo anche il noein: una capacità speciale dell'essere a manifestarsi in una immediatezza unica. Perché questo è il fatto che noi ammiriamo tanto nell'animale selvaggio che ha questa percezione incomprensibile, che effettivamente noi sappiamo essere il fiuto.

Diels - Kranz B 8: «Ma immobile costretto nei limiti di vincoli immensi è senza principio né fine, poiché nascita e morte furono respinte lontano, le allontanò la vera certezza. Rimanendo identico con un identico stato giace in sé stesso e così rimane lì immobile, ché la potente Necessità lo tiene nelle catene del limite che tutto intorno lo cinge. Perché l'Essere non può non Essere compiuto. Infatti non manca di niente, perché se di qualcosa fosse manchevole mancherebbe di tutto»

DOMANDA: Ritorniamo a questo essere monolitico, immutabile ed eterno di Parmenide, questo essere che non può non essere. Che ruolo può svolgere la libertà in questa concezione dell'essere; cioè, è possibile che esista una libertà di fronte ad un essere così sempre uguale a se stesso?

HÖSLE: E' assolutamente impossibile che esista una libertà. Parmenide è un determinista assoluto, le categorie che determinano il suo pensiero sono categorie di necessità, la mancanza di movimento, la mancanza di possibilità. Kre, kreon sono i verbi modali che si ripetono più spesso nella sua opera Ananke, la Necessità, è la divinità che tiene fermo l'Essere coi suoi legami, che impedisce che l'essere sia qui ma non altrove. Queste sono le categorie di Parmenide e sicuramente Parmenide non può aver accettato la possibilità di agire così o altrimenti. Parmenide come Spinoza deve essere stato un determinista assoluto, anche se probabilmente egli non ha riflettuto tanto profondamente come Spinoza sul problema del libero arbitrio. Egli avrà ignorato il problema, ma se noi ora ci chiediamo: "è compatibile con la sua filosofia il libero arbitrio?", evidentemente dobbiamo rispondere di "no".

 

DOMANDA: Lei ha fatto cenno all'inizio ad una analogia che legherebbe Parmenide e Einstein. E' noto che Einstein riteneva che vi fosse una rigorosa dipendenza causale fra tutti i fenomeni. Determinismo che amava illustrare con la frase: "Dio non gioca a dadi con l'universo". E' questo il filo concettuale che parte da Parmenide e giunge fino ad Einstein?

SEVERINO: Per quanto riguarda Einstein l'analogia con Parmenide veniva fuori in questi termini, che per la teoria della relatività tutti gli eventi del mondo sono già registrati in una bobina che contiene tutti gli eventi del mondo. E' certamente una concezione deterministica, poiché se tutti gli eventi stanno come tutti i fotogrammi, in una bobina, allora non c'è un passato, futuro, presente, ma si tratta soltanto di proiettare la bobina. Allora questa è l'analogia che conduce il discorso di Einstein, che esclude dunque un "non ancora essere" e un "non più essere", perché nella bobina tutti i fotogrammi sono contemporaneamente. Ecco questa è l'analogia tra il discorso di Einstein e il discorso di Parmenide.

«Le percezioni dei sensi non danno che indizi indiretti sul mondo esteriore. La realtà fisica non può essere affrontata da noi che per via speculativa. Sono portato a credere nella capacità del pensiero puro di dominare la realtà proprio come pensavano gli antichi greci.» Albert Einstein