Pascal: giudizi di filosofi
il giudizio di Voltaire
«Mi sembra che in generale l'intento con cui il signor Pascal scrisse questi Pensieri sia stato di mostrare l'uomo in una luce odiosa. Si accanisce a dipingerci tutti cattivi e infelici. Scrive contro la natura umana press'a poco come scriveva contro i Gesuiti. Imputa all'essenza della nostra natura ciò che appartiene soltanto a certi uomini. Dice eloquentemente delle ingiurie al genere umano. Io oso prendere il partito dell'umanità contro questo misantropo sublime; oso assicurare che non siamo né così cattivi né così infelici come lui dice; sono anzi ben persuaso che se avesse seguito, nel libro che aveva in mente, il disegno che appare nei Pensieri, avrebbe fatto un libro pieno di paralogismi eloquenti e di falsità mirabilmente dedotte» (pp. 141-142). orig.
«L'uomo non è un enigma come voi immaginate, per avere il piacere di scioglierlo. L'uomo sembra al suo posto nella natura, superiore agli animali, a cui è simile per i suoi organi, inferiore ad altri esseri, a cui assomiglia probabilmente per il pensiero. È, come tutto ciò che vediamo, un miscuglio di bene e di male, di piacere e di affanno. È dotato di passioni per agire, e di ragione per governare le sue azioni. Se l'uomo fosse perfetto, sarebbe Dio, e le pretese contrarietà, che voi chiamate contraddizioni, sono gli ingredienti necessari che entrano nel composto dell'uomo, che è quel che dev'essere» (p. 144) orig. .
«Cominciate, si potrebbe dire al Signor Pascal, col convincere la mia ragione. Ho interesse, certo, che ci sia un Dio; ma se, nel vostro sistema, Dio non è venuto che per così pochi; se il piccolo numero degli eletti è così spaventoso; e se per parte mia non posso niente di niente, ditemi, per favore, che interesse ho a credervi? Non ho un interesse manifesto a esser persuaso del contrario? Con che faccia osate mostrarmi una felicità infinita, alla quale, su di un milione di uomini, appena uno ha diritto di aspirare? Se volete convincermi, comportatevi in altro modo, e non venite ora a parlarmi di giuoco d'azzardo, di scommessa, di testa o croce, ed ora a spaventarmi con le spine che disseminate sul cammino che voglio e debbo seguire. Il vostro ragionamento servirebbe solo a far degli atei, se la voce di tutta la natura non gridasse che c'è un Dio, con tanta forza quant'è la debolezza di queste sottigliezze» (p. 147). orig. .
«Per me, quando io guardo Parigi o Londra, non vedo alcuna ragione per entrare nella disperazione di cui parla il Signor Pascal; vedo una città che non assomiglia affatto a un'isola deserta, ma popolata, opulenta, ordinata e in cui gli uomini sono felici tanto quanto natura concede» (p. 148). orig.
«Arrivo a Parigi dalla provincia; mi introducono in una sala bellissima in cui 1200 persone ascoltano una musica deliziosa: dopo di che tutta questa congrega si divide in tante piccole società che vanno a fare un'ottima cena e dopo questa cena non sono affatto scontente della notte. Vedo tutte le belle arti in onore in questa città, e i mestieri più vili ben ricompensati, le infermità mitigate, gli accidenti prevenuti vi godono, o sperano di godere, si lavora per godere un giorno, quest'ultima sorte non è la peggiore. Allora dico a Pascal: Mio granduomo, siete pazzo?» (p. 287).
la prudenza di Lamennais
«Quello spirito possente non sapeva sempre moderare la sua forza. È andato troppo oltre, ponendo l'uomo fra un dubbio assoluto e fede nella rivelazione; la qual cosa ci sembra che indebolisca la religione stessa» (p. 92). R. F. De Lamennais, Défense de l'Essai sur l'indifférence en matière de religion 3 ed., De Belin-Mandar et Devaux, Paris 1827 (1a ed. Paris 1821)
l'entusiasmo (oscillante) di Chateaubriand
«C'era un uomo che a dodici anni, con delle sbarre e dei tondi, aveva creato le matematiche, che a sedici aveva fatto il più dotto trattato sulle coniche che si fosse visto dall'antichità, che a diciannove mise in una macchina una scienza che esiste tutta intera nell'intelletto, a ventidue anni dimostrò i fenomeni della pesantezza dell'aria, e debellò uno dei grandi errori dell'antica fisica; che a quell'età in cui altri uomini incominciano appena a crescere, avendo compiuto il ciclo delle scienze umane, si avvide del loro nulla, e rivolse i suoi pensieri alla religione; che da quel momento fino alla morte, giunto al trentanovesimo anno, sempre infermo e sofferente, fissò la lingua che parlarono Bossuet e Racine, diede il modello della più perfetta arguzia come del ragionamento più forte; che infine, nei brevi intervalli dei suoi mali, risolvette per distrazione, uno dei più alti problemi della geometria, e gettò sulla carta dei pensieri che hanno tanto del Dio quanto dell'uomo: quello spaventoso genio si chiamava Biagio Pascal.»
Dal Génie du christianisme, nuova ediz., Garnier Paris 1939 (1° ed. Paris 1802), p. 313.
«Il terribile Pascal, posseduto dal suo spirito geometrico, dubitava incessantemente: non si salva dall'infelicità che precipitandosi nella fede.» ID., Vie de Rancé, ed crit. di F. Letessier, Didier, Paris 1a Paris 1844, pp. 209-210.
Sciacca rivaluta Pascal
«Pascal non cerca che l'evidenza dei fatti» (p. 202), «Uomini e cose sono sperimentati nella loro concreta esistenzialità» (p. 204). E cerca di persuadere l'umanità concreta degli altri (p. 204), sapendo che il cuore umano è complesso e oscuro, piuttosto che chiaro e distinto (p. 205). «Pascal sa che la conversione è il dramma, unico e vero, dell'uomo (...) la grazia non si acquista una volta per tutte" (p. 206).
Il giansenismo "come pratica severa ed austera (...) rispondeva al senso dolorante e cupo che Pascal ebbe del Cristianesimo (...). Il Cristo di Pascal è il Cristo martoriato e crocifisso, non il Cristo risorto e trionfante» (p. 207).
Tuttavia «il giansenismo teologico gli era estraneo» (p. 208). Il suo è un «agostinismo incandescente», «lontano da quello solidificato e schematizzato dei teologi di Port-Royal» (ibidem). Egli «poté sempre considerarsi sinceramente cattolico»" (p. 209)
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