le interpretazioni della Rivoluzione

un elenco sintetico dei principali classici

Edmund BURKE (1729/97) in Riflessioni sulla Rivoluzione Francese (1790) Critica l'estremismo rivoluzionario, che ha voluto un cambiamento brusco, applicando violentemente principi astratti, laddove la storia si deve evolvere gradualmente (come in Inghilterra).

Joseph De MAISTRE (1753/821) giudica la Rivoluzione Francese un castigo divino per gli errori moderni. Che la rivoluzione sia stata un castigo è evidente dal suo carattere sanguinario e dalla sua incapacità di stabilizzarsi in una situazione equilibrata. Nelle Considérations sur la France (1797,ed. anonimo in Svizzera), egli vede la Rivoluzione in chiave provvidenzialistica, (DC.,908/10), considerando come fattori a favore della sua tesi la punizione dei colpevoli e la conservazione della integrità nazionale.

Madame Germaine de STAËL (1766/1817), figlia di Necker, la-sciò Parigi nel '92 per tornarvi nel '95. Sue opere relative alla Rivoluzione: Réflexions sur la paix intérieur (1795, non edito) e Considérations sur la Révolution francaise (postuma: 1818, tr.it. Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese ,MI 1943). Distingue una la prima fase, costituzionale, positiva e necessaria, dalla degenerazione montagnarda.

Adolphe THIERS (1797/1877) liberale conservatore, scrisse 10 volumi di Histoire de la Révolution française (1823/7), che vennero lette con avidità (uscì ancora nel 1866 una 16 edizione). OPPOSE alle interpretazione controrivoluzionaria una visione più liberale. Usò come metodo anche interviste con sopravvissuti, ma non documenti e archivi; fu essenzialmente giornalista, non oltrepassando una cronachistica narratività, con scarsa analisi approfondita delle cause.

Philippe BUCHEZ (1796/1865) in collaborazione con Roux inizia la ricerca metodica negli archivi e nelle biblioteche: ne uscì la Histoire parlamentaire de la Révolution française (40 voll, dal 1833).

Jules MICHELET (1798/1874), di estrazione piccoloborghese, fu professore alla Sorbona e archivista. Fortemente passionale, utilizzò come fonte orale un "popolo" mitizzato e inverosimile, a cui diede "sempre ragione" perchè gli dava sempre ragione.
Disse di aver attinti a fonti manoscritte (quali il registro delle deliberazioni del Comune di Parigi, i verbali delle sez. parigine), ma non precisò mai dei riferimenti dettagliati, e nessuno potè verificarne l'attendibilità in seguito all'incendio degli archivi del 1871.
Sua opera centrale la Histoire de la Révolution. In essa vi sostenne la tesi fondamentale della rivoluzione figlia della miseria, esaltandovi un popolo, in cui non distingueva borghesia da ceti operai e contadini. Vide nella religione soprannaturale (la religione "della grazia") un fondamento teorico all'arbitrio (in quanto Dio sceglie chi vuole),che si riflette poi nell'arbitrio politico. Mentre la Rivoluzione, segnata dalla religione del Diritto, aveva significato una frattura netta con tale sistema teorico-politico.

ALEXIS DE TOCQUEVILLE (1805/59) vide una continuità tra la rivoluzione e i tentativi del dispotismo illuminato.

Hippolyte TAINE (1828/93) positivista applicò il metodo delle scienze umane allo studio della storia. Giudicò il giacobinismo come un rigido dogmatismo, sprezzante del concreto, mentre il modello ideale era piuttosto rappresentato dall'Inghilterra.

Nel 1886 venne istituita alla Sorbona una cattedra sulla Rivoluzione Francese.
Alphonse AULARD
(1846/1928) ne è il primo titolare. Figlio di professore di filosofica di liceo, fu definito radicalsocialista, gradualista; seguì un metodo critico preso dagli eruditi storici tedeschi (basata su una rigorosa documentazione). Nella sua Histoire politique de la Révolution française limita il campo della sua indagine al livello politico (ad esempio il contrasto girondini/montagnardi interpretato nel senso di un contrasto tra federalismo girondino e centralismo montagnardo). Nel dibattito che si era aperto a proposito dei grandi personaggi della Rivoluzione prese posizione a favore di Danton (e dunque contro Robespierre).

Albert MATHIEZ, suo discepolo, di impostazione però più "di sinstra", amplierà l'orizzonte dell'indagine anche ai fattori religiosi, socioeconomici (ad esempio il contrasto girondini/montagnardi viene letto anche in termini di lotta tra alta e piccola borghesia). Nel dibattito sui personaggi della Rivoluzione "tiferà" per Robespierre, contro il corrotto Danton.

Jean JAURèS (1859/1914), filosofo e politico socialista riformista, pubblicò la Histoire socialiste de la Révolution française (1901/4), rivalutando sulla scia di Marx, il fattore economico. Inoltre sostenne che la rivoluzione non superò mai, nemmeno con Robespierre, una visione piccoloborghese. Tuttavia in essa il popolo prese coscienza di sé. A differenza di Michelet vide la rivoluzione figlia non della miseria, ma della prosperità.

Georges LEFEBVRE (1874/1959). Marxista, professore di liceo in provincia, fino a 50 anni. Sottolineò (ne Les paysans du Nord pendant la Révolution française, 1924, sostenuto da analisi minuziose) l'importanza del mondo contadino, che fu deluso nella sua attesa anticapitalistica (anche dai montagnardi). Ne La grande Peur del 1789 (1933) e Le folle rivoluzionarie (1932) analizza i meccanismi mentali che portarono le folle alla violenza.

Ernest LABROUSSE. Marxista e storico dell'economia. Si pose il problema di comporre Michelet (con la sua tesi della rivoluzione figlia della miseria: il che è vero sui tempi immediatamente precedenti) e Jaurès (=rivoluzione figlia della prosperità: il che è vero, ma sui tempi lunghi).

Daniel GUERIN. Marxista libertario (simpatizzante di Trotzkj) vide nella Rivoluzione un embrione di rivoluzione proletaria (benchè precapitalistica) con una vera e propria lotta tra borghesia e proletariato urbano (La lutte des classes sous la première Republique 1946).

Albert SOBOUL. repubblicano-democratico di sinistra, corresse la tesi del Guérin negando l'esistenza di diffuse aspirazioni socialiste (in effetti Babeuf fu isolato) e riconducendo le aspirazioni dei sanculotti, che studiò approfonditamente, ad un ideale di piccola proprietà.

altri studiosi INGLESI (anche loro "neogiacobini") G.Rudé e R.Cobb attribuirono ai sanculotti una prevalente ideologia piccoloborghese.

il revisionismo

un nuovo modo di vedere la Rivoluzione, oltre la stucchevole oleografia

inizia negli anni 60 con l'inglese

Alfred COBBAN, che nega il carattere borghese, capitalista e antifeudale della Rivoluzione. In quanto erano * presenti in essa forti componenti anticapitaliste (già viste del resto dal Lefebvre, e in qualche modo dal Guérin); inoltre la *borghesia non esisteva ancora come classe omogenea, e unita dagli stessi interessi e dalle stesse idee; in realtà *le lotte tra i clubs non furono quindi di classe, ma trasversali alle stesse classi.

Pierre CHAUNU. Ne La Révolution declassée 1989 (si veda l'intervista al Sabato, 29/4/89, p.72/6: "solo Hitler come l'89"in Diz.cr.), attacca il mito della Rivoluzione con argomenti stringenti.

François FURET. Sue opere principali: L'eredità della Rivoluzione, Laterza Bari 1989 [riassunto dallo stesso Furet sul Sabato 14/1/89, p. 68/75]; Penser la Révolution, Gallimard.