Nietzsche
vita (cenni)
Nato a Röcken, vicino a Lutzen, il 15 ottobre 1844, perse il padre nel 1849, per una malattia al cervello; per le sue ottime doti intellettuali poté frequentare il prestigioso ginnasio reale di Pforta, presso Naumburg, noto per i suoi sistemi educativi piuttosto rigidi; ebbe una vita ordinata fino all'impatto col mondo universitario di Bonn (volgare e disordinato), dove studiò teologia e filologia classica nel 1864. L'anno successivo, 1865, si trasferì a Lipsia, dove seguì i corsi di Friedrich Ritschl, importante filologo. A modificare il suo pensiero e la sua vita concorse in modo decisivo anche l'incontro con Schopenhauer, di cui lesse, nell'inverno 1865-66 Il mondo come volontà e rappresentazione, restandone avvinto. Il risultato fu che prese a odiarsi e a dilaniarsi
, come lui stesso testimonia (qui io guardavo come in uno specchio il mondo, la vita e la mia propria anima, grandiosi di orrore
).
Seguì un periodo di insegnamento universitario (dal 1869 al 1879) di filologia (lingua e letteratura greca), presso l'Università di Basilea, ottenutogli inizialmente grazie all'interessamento di Ritschl, nel gennaio del 1869; questo periodo fu contrassegnato anche dalla amicizia con R.Wagner (ebbe a dire la vicinanza di Wagner è la mia consolazione
e ciò che io laggiù - cioè presso Wagner, nella sua villa di Tribschen, sul lago dei Quattro Cantoni - imparo e vedo, ascolto e intendo, è indescrivibile. Schopenhauer e Goethe, Eschilo e Pindaro vivono ancora
), con lo storico Jacob Burckhardt e con il teologo Franz Overbeck. Allo scoppio della guerra franco-prussiana si arruolò come infermiere volontario, ma venne presto congedato in quanto ammalatosi di difterite. Frutto di questo periodo fu La nascita della tragedia (1872), dove elaborò la sua celebre teoria su apollineo e dionisiaco, la bellezza statica e l'ebbrezza orgiastica, in cui vedeva tra l'altro una via di aquietamento della furia della cieca Volontà. L'opera fu inizialmente molto criticata da parte del mondo accademico, ad esempio dal celebre Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf, spingendo a sua volta N. su posizioni decisamente critiche nei riguardi dell'ambiente universitario tedesco; di lì a non molto ruppe anche con Wagner: documento di questa svolta è l'opera Umano, troppo umano (1878), in cui Wagner viene rappresentato come estremo rappresentante del romanticismo, che nella sua produzione più tarda sarebbe orientato nostalgicamente al Cristianesimo, con uno spirito di rassegnazione e di rinuncia. Nel '79 abbandonò definitivamente la cattedra universitaria.
Il successivo periodo della vita di N. si caratterizza per la sua solitudine, e la sua precaria salute: vagabondò tra la Svizzera e l'Italia settentrionale, specie la Liguria, raccogliendo come prezioso oracolo ogni parola e pensiero che da lui procedeva, sforzandosi di imporsi, di stupire, di dimostrare acume nell'evidenziare paradossi o nel formulare tesi singolari. Cercò anche di formarsi una schiera di discepoli, senza grande successo però. Degna di nota la sua tormentata vicenda con la giovane Lou Salomè, conosciuta nel 1882, fieramente detestata dalla madre e dalla sorella di N. e che non corrispose al suo amore e alle sue richieste di matrimonio.
Gli ultimi anni della sua vita lo vedono cadere in preda alla pazzia; questa si manifestata a Torino nel gennaio del 1889 e fu definitivamente vincente in lui per tutti i dieci anni seguenti. N. in effetti scrisse all'inizio dell'89 una serie di lettere esaltate, chiamate i “biglietti della pazzia” (Wahnbriefe), indirizzandole a diversi personaggi importanti, tra cui uomini di Stato e regnanti (tra gli altri il re d'Italia Umberto I); una di tali lettere venne indirizzata a Burckhardt, che avvertì l'amico Overbeck, il quale andò a Torino, e trovando N. in preda alla pazzia lo portò in una clinica per malattie nervose a Basilea. Dopo qualche tempo in cui fu accudito dalla madre, nel 1897, alla morte di lei, Nietzsche fu assistito dalla sorella Elisabeth, il comportamento della quale del resto fu per molti aspetti tutt'altro che corretto nei suoi confronti. La sua fama intanto cresceva, senza peraltro che egli potesse saperlo, essendo immerso nella follia. Morì a Weimar il 25 agosto 1900.
📔Opere principali di Nietzsche
titolo originale | titolo tradotto | anno |
Die Geburt der Tragödie aus dem Geist der Musik | La nascita della tragedia dallo spirito della musica | 1872 |
Unzeitgemäße Betrachtumgem | Considerazioni inattuali | 1873/6 |
Menschliches, alzu menschliches | Umano, troppo umano | 1878/9 |
Der wanderer und sein Schatten | Il viandante e la sua ombra | 1880 |
Morgenröte | Aurora nascente | 1881 |
Die fröliche Wissenschaft | La gaia scienza | 1882 |
Also sprach Zarathustra | Così parlò Zaratustra | 1885 |
Jenseits von Gut und Böse | Al di là del bene e del male | 1886 |
Zur Genealogie der Moral | La genealogia della morale | 1887 |
Götzendämmerung | Il crepuscolo degli idoli | 1889 |
Ecce homo | [titolo originale latino] | [postumo] |
Der Antichrist | L'Anticristo | [postumo] |
Der Wille zur Macht | La Volontà di Potenza | [postumo] |
Nota bene
La Volontà di potenza, uscito nel 1901, è uno scritto di problematica attendibilità, per il probabile rimaneggiamento di alcune sue parti ad opera della sorella di N..
le edizioni delle opere
Le più importanti edizioni complessive delle opere di Nietzsche sono quattro:
- l'edizione dell'Archivio Nietzsche di Weimar, in 19 volumi (1899-1913, ma l'Indice è del 1926); vennero pubblicati anche molti appunti inediti, tra cui l'importante Der Wille zur Macht, la Volontà di Potenza, che venne pubblicato in prima edizione nel 1901 (con 483 aforismi), in seconda edizione nel 1906 (con 1067 aforismi), e in terza e definitiva edizione nel 1911 (con lievi modifiche rispetto alla seconda); pur essendo un'opera manipolata arbitrariamente, essa è storicamente importante perché personaggi come Heidegger incontreranno N. proprio su tale testo;
- l'edizione Musarion Ausgabe, in 23 volumi (1920-29), più attenta a un criterio cronologico rispetto alla precedente edizione;
- l'edizione Schlechta è la più nota del secondo dopoguerra, ed è del 1956, in tre volumi, con un Indice del 1965, applica con ancor più rigore il criterio cronologico;
- l'edizione critica di Giorgio Colli e Mazzino Montinari (dal 1964 presso le edizioni Adelphi di Milano): si tratta di un'opera monumentale basata sui manoscritti di Weimar, essa ha chiarito come nelle edizioni originarie della Volontà di Potenza si trovino delle manipolazioni in senso xenofobo e criptonazista.
le fasi del pensiero di Nietzsche
Si possono distinguere tre (secondo alcuni) o quattro (secondo altri, che dividono l'ultima fase) fasi del pensiero di Nietzsche:
- una fase giovanile (detta anche wagneriano-schopenhaueriana), fino al 1876, essa comprende tra l'altro opere come La nascita della tragedia e le Considerazioni inattuali;
- una fase intermedia (detta anche periodo “illuministico” o “genealogico”), tra il 1878 e il 1882, che comprende opere come Umano, troppo umano, Aurora, La gaia scienza;
- i cosiddetti “scritti del meriggio” o “di Zarathustra”, tra il 1883 e il 1885, incentrati appunto su Così parlò Zarathustra;
- i cosiddetti “scritti del tramonto” (1886-89), tra i quali Al di là del bene e del male, la Genealogia della morale, Il crepuscolo degli idoli e altri.
Noi peraltro qui non seguiamo un criterio cronologico, ma tematico.
problemi
pensiero e pazzia
Nietzsche divenne pazzo e ciò non può essere ignorato, nello studiarne il pensiero; ma in che rapporto stanno la sua malattia mentale e la sua filosofia?

Occorre evitare di porre una relazione troppo stretta tra i due elementi, per cui avrebbero solo le due alternative, che a) il suo pensiero è frutto della sua pazzia (tesi decisamente da scartare) e b) che la sua pazzia è frutto del suo pensiero (tesi che contiene una qualche parte di verità).
La malattia mentale di N. può avere avuto cause diverse, senza che si possa escludere da tali cause la “logica” intrinseca del suo pensiero, in quanto radicalmente negatore di significato, cioè radicalmente ateo.
Più problematico è seguire N., come fa ad esempio Abbagnano, nel trovare nella malattia mentale un qualche beneficio, per via di una visione anticonformista e disincantata. Per lui i “sani” sono più soggetti a illusioni, mentre chi soffre fortemente vede dalla sua condizione, con una terribile freddezza, le cose al di fuori: tutte quelle piccole ingannevoli magie in cui di consueto nuotano le cose, quando l'occhio dell'uomo sano vi si affissa, sono invece per lui dileguate
(Aurora, Della conoscenza di colui che soffre).
Nietzsche e il nazismo
Un altro nodo interpretativo fondamentale è il rapporto di N. col nazismo, di cui a lungo è stato visto come il profeta e il teorico, per via della sua concezione di Superuomo.
Si è in effetti partiti con la convinzione che N. fosse antesignano del nazismo: emblematica in tal senso è l'opera di Alfred Bäumler, Nietzsche, il filosofo e la politica, del 1931.
Successivamente si è capito che in buona misura tale accostamento era dovuto agli interventi manipolatori della sorella Elisabeth Förster-Nietzsche (1846-1935): emblematico del suo atteggiamento è ad esempio la sua iniziativa di invitare Hitler a visitare l'archivio Nietzsche, ciò che avvenne il 2 novembre 1933, allorché Elisabeth consegnò un bastone, appartenuto al fratello, al dittatore, che uscì poi tra due ali di folla plaudente; ma si è corso il rischio opposto, di non vedere più alcun legame col nazismo.
In tempi più recenti la critica ha adottato una posizione intermedia: la sorella ha sì accentuato interessatamente i tratti di somiglianza tra il pensiero del fratello e l'ideologia del Terzo Reich, ma non si può negare che certe oggettive tangenze esistano. Ad esempio sull'anti-democraticismo e l'anti-egualitarismo. In questo senso le letture “di sinistra” di N. appaiono decisamente problematiche.
Significato generale: un irrazionalismo "ottimistico"
Per Nietzsche la filosofia non è questione teoretica (infatti non si dà verità da contemplare), ma è una scelta, assolutamente arbitraria (è una questione di naso, cioè di gusto, non di ragione: "rispetta il mio naso, come io rispetto il tuo").
Non si dimostra che la propria tesi è vera o che quella antagonista alla propria è falsa, ma si mostra come nasce la tesi opposta, e ciò facendo la si distrugge. è il cosiddetto metodo "genealogico", che dispensa da un serio esame delle tesi avversarie.
In altri termini l'origine soggettiva di qualcosa è la consistenza di questa cosa, la realtà non ha più una sua struttura intelligibile oggettiva (analogamente a Feuerbach e al Freud "filosofo") non importa sapere se qualcosa sia vero o no, ma solo quale motivo soggettivo spinga ad affermarlo come tale.
1) alle origini della menzogna nel mondo classico
Nietzsche si interessò alla cultura classica, che affrontò in modo originale, come documenta la sua tesi sulla Nascita della tragedia (1872), con la celebre distinzione, divenuta poi largamente accettata, tra apollineo e dionisiaco.
Apollo |
Dioniso |
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Contro la visione, prevalente allora, di una grecità totalmente serena ed equilibrata (apollinea), Nietzsche sottolinea la presenza, nella cultura greca, del dionisiaco, del tragico. Anzi l'apollineo è secondario rispetto all'originariamente predominante dionisiaco: primordiale è la percezione del caos, che si cerca poi di sublimare nella forma definita (il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza
, scrisse N. in quest'opera).
La tragedia greca univa questi due aspetti: quello apollineo, espresso dalle arti figurative con la loro scenicità definita, inalveamento delle domande esistenziali nel logos, e quello dionisiaco, espresso dalle musica con la sua incontenibilità in forme determinate, simbolo della vita spontanea.
Già Euripide tende a eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio del raziocinio; è Socrate comunque il principale responsabile dell'inaridimento della cultura occidentale: lui e Platone sono "gli strumenti della dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci". Loro hanno usato di quella dialettica, che "può essere solo un'estrema risorsa nelle mani di chi non ha più armi [..] Quel che si lascia dimostrare ha poco valore." Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. Fu malato.
2) la menzogna del sapere storico
Il tema è affrontato soprattutto in Sull'utilità e il danno della storia per la vita (seconda delle Considerazioni inattuali). Nietzsche sostiene che i fatti in sé sono stupidi: occorre l'interpretazione. Sono le teorie ad essere intelligenti.
Il senso della storia è spesso nemico della vita, in quanto ci rende schiavi del passato, passivi, costretti a "chinare la schiena e piegare il capo" dinanzi alla "potenza della storia", per l'"idolatria del fatto" che avviene laddove si verifica una "saturazione" di storia. Ne consegue una sfiducia nella propria capacità creativa, e il formarsi di una pura erudizione da enciclopedie ambulanti, che annulla la personalità: "nessuno osa più esporre sé stesso, ma ciascuno prende la maschera di uomo colto, di dotto, di poeta" Si diventa così "uomini che non vedono quello che anche un bambino vede".
l'uomo invidia l'animale, che subito dimentica [..] l'animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente [..]
l'uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte.
Per ogni agire ci vuole oblìo: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità.
La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [..] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto.
in particolare
- la storia archeologica si ferma al mediocre, si attarda ad ammirare il passato, anche nei suoi aspetti mediocri e meschini, per giustificare la presente mediocrità;
- la storia monumentale cerca nel passato esempi e modelli positivi, che mancano nel presente, onde poter guardare al futuro con sicurezza che ciò che è stato possibile in passato lo sarà ancora;
- solo la storia critica è davvero positiva, in quanto non si limita a favorire l'imitazione del passato, anche eroico, ma lo vuole superare: essa trascina il passato davanti al proprio tribunale, lo giudica e lo condanna. [deve ancora venire il momento di pienezza dell'Umanità].
3) la menzogna della scienza
Pur non essendo del tutto negativa (come pensa N. soprattutto inUmano, troppo umano, Aurora,La gaia scienza), in quanto libera dalla vecchia concezione del mondo, essa facilmente conduce all'adorazione della verità oggettiva, rende l'uomo schiavo dell'oggettività esterna, e contrapposta alla vita.
In realtà non ci sono dati, fatti oggettivi (antipositivisticamente),ma solo interpretazioni
Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza “scevra di presupposti”. La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che “niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano”. Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque? [...] Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina... Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l'errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?
Nietzsche, ancora, denuncia lo schematismo degli scientisti, che non si accorgono della polimorfia del reale, pretendendo di ricondurlo a pochi principi meccanici.
4) la menzogna morale
Per Nietzsche la morale non è qualcosa di assoluto, una legge che scende dal cielo, da Dio:
dove voi vedete cose ideali
io vedo cose umane, ahi troppo umane.
Essa è piuttosto proiezione di interessi e dinamismi umani, particolari. Perciò la coscienza, lungi dall'essere la voce di Dio nel petto dell'uomo
è, più prosaicamente, la voce di alcuni uomini nell'uomo
. Non vi è dunque nei valori morali un contenuto assoluto, trascendente, ma solo il riverbero di interessi e di tendenze relative e terrene, essi sono il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano
.
La morale, in tal senso, è stata originariamente espressione dei forti, che si autoaffermavano senza scrupoli, è stata cioè morale dei signori, i cui valori erano i valori vitali: la fierezza, la salute, la forza, la gioia. I signori dominavano gli altri esseri umani senza provarne alcun senso di colpa, ben contenti di tale dominio.
A un certo punto però si è prodotto un rovesciamento dei valori: i valori dei signori sono stati visti come antivalori e si sono affermati i valori degli schiavi: il disinteresse, la carità, il perdono, l'abnegazione. Nietzsche indica nel risentimento l'origine di tali valori, della morale dei deboli, dei malati, degli sconfitti, risentiti contro la vita. Il risentimento è un autoavvelenamento dell'animo che si produce in chi, debole e vile, non sa reagire adeguatamente, affidandosi alla sua vitalità spontanea e aggressiva, alle sfide del contesto. In tal modo alla lunga egli si convince che il suo comportamento, frutto in realtà di debolezza e viltà, sia l'unico ad essere virtuoso: ed eleva così il valore del perdono e della remissività a valori supremi. Gettando disorientamento e confusione nella società tutta.
I primi ad affermare i valori degli schiavi sono stati gli Ebrei, che Nietzsche descrive come un popolo animato dall'odio dell'impotenza
, dall'odio contro la vita, per cui solo i deboli, i poveri sono i buoni, i devoti. Il Cristianesimo ne ha poi preso il testimone, approfondendo il risentimento ebraico e producendo un tipo umano autotormentato, pieno di sensi di colpa, arrabbiato contro la vita.
5) la menzogna religiosa e la morte di Dio
Quello di Nietzsche è un ateismo radicale. Dio in effetti è l'emblema di ogni prospettiva che colloca il valore della realtà oltre la vita (presente), Dio è perciò la negazione della vita e la quintessenza di quelle certezze trascendenti, che appunto tendono a negare valore alla vita nel suo immediato darsi.
Non si può propriamente dare una prova della non-esistenza di Dio, ma si può evidenziare come sia nata l'idea di Dio (metodo genealogico, già impiegato nella interpretazione della morale): essa è stata creata come rassicurante rimedio al caos e alla contraddizione che caratterizzano la realtà. L'uomo, non potendo sopportare la contraddizione, la crudeltà, la disarmonia del mondo, si sarebbe inventato un Dio provvidente e buono, che assicura che il mondo sia armonico e buono, razionale. Quella di Dio è dunque una bugia consolatoria, la nostra più lunga menzogna
, frutto della paura davanti alla cruda verità della realtà: non esiste nessuna Provvidenza, nessuna rassicurante certezza di una qualche garantita bontà del reale.
è vero comunque che Nietzsche ha una segreta, profonda nostalgia dell'Assoluto, come testimoniano questi versi:
All meine Tränenbäche laufen zu Dir den Lauf!
Und meine letzte Herzensflamme -
Dir glüht sie auf!
O, Komm zurück,
Mein unbekannter Gott!
Mein Schmerz! mein letztes Glück!
(F. Nietzsche, Dionysos - Dithyramben)
Ciò non toglie che il suo sia il più radicale ateismo della storia della filosofia. Per lui infatti Dio in quanto tale si oppone all'uomo: deve morire, affinché l'uomo viva.
Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”? - E poiché proprio là si trovano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “Si è forse perduto?” disse uno. “Si è smarrito come un bambino”? fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? E' emigrato?” gridavano e ridevano in una gran confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n'è andato Dio?” gridò “ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! [...] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso”.

Dire che noi siamo gli assassini di Dio accentua il carattere volontaristico dell'ateismo: non si tratta di prendere atto che Dio non esiste, o di dimostrarne la non-esistenza (ciò è intrinsecamente impossibile e N. non tenta nemmeno una tale strada), quanto piuttosto di volere che Dio non esista, affinché possa esistere l'uomo, o meglio il Superuomo (l'uomo come superuomo, ossia come “dio” egli stesso). Si tratta allora di una impresa titanica: “non è affare di poco”.
Perciò Nietzsche si schiera contro gli atei volgari (i ridanciani) che non si rendono conto della posta in gioco, e credono che sia facile "sbarazzarsi" di Dio. Mentre si tratta di un'opera immane, da far tremare le vene ai polsi:
Come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare?
Con che acqua potremo lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione?
interpretazioni della morte di Dio
- Secondo alcuni, tra i quali Vattimo, si tratterebbe di una presa d'atto storica;
- secondo altri, tra i quali Abbagnano, si tratta invece di una tesi metafisica.
interpretazioni del nichilismo
- Alcuni pretendono che la negazione di un Assoluto non significhi negare ogni valore;
- ma altri interpreti, più avvedutamente, ritengono che, al di là delle intenzioni, forse, di N,, negare i valori assoluti, propri del Cristianesimo e della religione, significa negare ogni valore. La tragica conclusione nella pazzia della parabola filosofica di N. è in tal senso significativa.
il superuomo
Si tratta della proposta "in positivo" di N.: occorre abbattere la morale (tradizionale) e la fede religiosa in Dio, affinché il superuomo sia.
Come si configura questa realtà? Si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo, un tipo di umanità quale mai si era vista nella storia, la cui distanza dall'uomo come noi lo abbiamo conosciuto finora non è minore di quella che esiste tra la scimmia e l'uomo (in qualche modo, dunque la scimmia sta all'uomo, come l'uomo sta al superuomo).
Il tratto fondamentale del superuomo è la sua assoluta libertà (e potere) di autoaffermazione: in qualche modo, come per Hegel, Comte, Marx, l'uomo è divino, è "dio". Con la differenza che mentre per i citati pensatori il cosmo stesso (la natura non-umana) partecipa e concorre alla divinizzazione dell'uomo, in N. il superuomo ha a che fare con una natura e un mondo umano irrazionali: con tanto più veemente impeto allora allora la sua volontà di potenza dovrà imporsi per domarli e soggiogarli al suo progetto.
Zarathustra (...) parlò così:
L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi.
La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perché essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all'altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo. (Così parlò Zarathustra, prefazione di Zarathustra)
Così, il Superuomo è chi disprezza anche la propria felicità: è "l'uomo del grande disprezzo", è colui che dice: «Che importa la mia felicità! Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere.» (ibidem). E si butta, senza una ragione, senza ragione, verso una scommessa irrazionale, tuffandosi nel vuoto più nero (verso il tramonto).
Così non insegna a fare il Cristianesimo, che invita a prendere sul serio la propria umanità, e la propria esperienza elementare, ritornando "come bambini", determinati dalla realtà e non da tenebrosi sogni e da elucubrazioni allucinate.
Aggiungiamo che il concetto di superuomo è stato comunque oggetto di divergenze interpretative: per lo più inteso in senso aristocratico (solo alcuni esseri umani giungeranno ad essere superuomini, dominando gli altri, che resteranno semplici uomini), qualcuno ha voluto intenderlo in senso democratico (tutti gli esseri umani diventeranno superuomini). Ma questa seconda interpretazione cozza contro l'argomento che il superuomo è colui che si autoafferma senza limiti, e dunque non può, strutturalmente, andare d'accordo con tutti.
l'eterno ritorno
Nietzsche confida, in Ecce homo, di aver avuto la folgorante intuizione di esso durante una passeggiata vicino al lago di Silvaplana, in alta Engadina: l'esperienza che lui stava vivendo in quel momento l'aveva già vissuta altre volte, infinite altre volte, per cui l'avrebbe anche in futuro rivissuta, infinite altre volte.
La prima formulazione di tale intuizione la troviamo nell'aforisma 341 della Gaia scienza:
Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!».
L'eterno ritorno non è una teoria del tutto nuova: essa era già stata sostenuta, ad esempio, dagli stoici come pure è presente in concezioni orientali. Suo fondamento può essere la congiunta affermazione del carattere finito dello spazio e della materia, il determinismo e l'infinità del tempo: prima o poi le combinazioni del cosmo (essendo finite) si ripresentano.
Ma Nietzsche non pretende di dare una prova cosmologica, razionale dell'eterno ritorno, si tratta piuttosto di una intuizione, funzionale al suo pensiero.
In effetti il senso dell'eterno ritorno non è il fatalismo: “se tutto è già scritto lasciamoci pure andare al destino”, quanto piuttosto l'esigenza di vivere l'istante presente con la massima intensità possibile, amando la terra, nella fedeltà alla terra, accettando il divenire nel suo darsi innocente
, sapendo che vivremo in futuro infinite altre volte come ora decidiamo di vivere.
Non è dunque il passato che ci schiaccia, ma il presente che domina, spianandosi la strada al futuro, non c'è “fu” che non sia un “volli” (“così io volli”).
Certo, non è scontato che sia così, non è così per tutti: l'eterno ritorno schiaccia chi è semplicemente uomo, mentre esalta il superuomo; vediamo infatti come procede il citato aforisma 341:
Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?
L'eterno ritorno può soffocare, come nella visione del giovane pastore, ma il superuomo è colui che lo assimila (ne morde la testa) e ne esce vincitore:
Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me - buono o cattivo - gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.- (...) - Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.- Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, - e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora!
Il serpente è appunto l'eterno ritorno (simboleggiato da una figura che può mordersi la coda disegnando un cerchio), il giovane pastore è l'uomo che non può evitare l'eterno ritorno e ne rimane soffocato (non riesce a strapparselo di bocca): l'unico modo per liberarsi dal peso dell'eterno ritorno è in qualche modo mangiarlo, assimilarlo; così fa il pastore che diviene in seguito a ciò una nuova creatura, un superuomo.
la volontà di potenza
Mentre per Schopenhauer l'essenza più intima di tutta la realtà è la volontà di vivere, per Nietzsche essa è volontà di potenza: volete un nome per questo mondo? Una soluzione per i suoi enigmi? (...) Questo mondo è volontà di potenza - e nient'altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza - e nient'altro
(Fr.post., 1884-5). La vita è volontà di potenza: essa non si accontenta infatti di autoconservarsi, ma vuole essere sempre di più, vuole accrescersi continuamente, senza limiti. La volontà di potenza è questa autoaffermazione che vuole oltrepassare sempre i limiti già raggiunti e andare sempre oltre.
Il culmine della volontà di potenza, in questo senso, è nel superuomo, che si autocrea e si oltrepassa continuamente. Ma in qualche modo una prima forma di volontà di potenza è presente già nell'arte, che è creatività e in quanto tale è la forma suprema della vita. Nietzsche arriva a parlare, nell'ultima fase della sua produzione, dell'artista come una prima visibile figura del superuomo
.
La creatività della volontà di potenza si manifesta nella produzione di valori, i quali non sono un dato oggettivo, che possa venir riconosciuto, ma una creazione della vita e soprattutto dell'uomo e del superuomo, che creando nuovi valori dà senso alla caoticità insensata del mondo.
Ancora, la volontà di potenza conduce il superuomo ad accettare l'eterno ritorno, senza vivere di rimpianti e senza esserne schiacciato, evitando di vedere nella sofferenza, come fa invece lo spirito di vendetta
, una punizione: per lo spirito di vendetta, che odia la vita, dov'era la sofferenza, sempre doveva essere una punizione
(Così parlò Zaratustra, Della redenzione). Invece l'istante che passa, il divenire, merita di essere pienamente riscattato, redento
, eternizzato: imprimere al divenire il carattere dell'essere - è questa la suprema volontà di potenza
(Fr. post., 1885-7).
Infine la volontà di potenza implica che il superuomo voglia dominare i più deboli, senza sentire alcuno scrupolo: la volontà di potenza è volontà di dominio:
La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie (Al di là del bene e del male)
Trattenerci reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un'eguaglianza tra la propria volontà e quella dell'altro: tutto questo può divenire una buona costumanza tra individui, ove ne siano date le condizioni (...). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. (ibi)
La lotta per l'uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia. (Ecce homo)
Come si vede il pensiero nietzscheano ha degli aspetti antiegualitari e antidemocratici.
nichilismo e prospettivismo
il nichilismo
Nietzsche distrugge tutti i valori assoluti e le verità assolute: ciò vuole forse dire che egli è nichilista, cioè che pone il nulla alla base di tutto?
Che cosa resta, dopo la distruzione dei valori assoluti? Il vuoto o, per così dire, un nuovo pieno, nuovi valori? Da un lato non esistono più, per N., valori oggettivi, non si tratta di riconoscere qualcosa di dato.
D'altro lato il superuomo, grazie alla volontà di potenza, come abbiamo detto, crea nuovi valori e un nuovo senso, per cui non resta un vuoto, nichilisticamente. Per cui, in questo senso, il nichilismo dovrebbe essere superato. Così almeno si illude Nietzsche.
il prospettivismo
Già nelle Considerazioni inattuali egli aveva definito il fatto come stupido e più simile a un vitello che a un Dio
; nell'ultima fase del suo pensiero egli accentua tale decostruzione dei fatti: non esistono fatti, ma solo interpretazioni (noi non possiamo constatare nessun fatto in sé
).
Di conseguenza il mondo non ha un senso, ma innumerevoli sensi, è interpretabile da innumerevoli prospettive. In sé infatti il mondo è caos, siamo noi a cercare di dargli un senso, tramite le nostre categorie e interpretazioni. Non esistono verità assolute e definitive, le cosiddette verità sono illusioni, di cui si è dimenticata la natura illusoria
, lo stesso linguaggio, lungi dall'essere lo specchio fedele della realtà, è un esercito di metafore
e la logica una invenzione per cercare di porre sotto controllo il caos informe dell'esperienza.
Ci sono dunque molte interpretazioni, senza che nessuna di esse possa pretendere di essere quella assoluta. Ciò non significa che esse siano equivalenti: il criterio per orientarsi tra di esse rimane in ultima analisi la vita, ciò che risponde alla volontà di potenza e quindi ci permette di vivere con più pienezza.
⚖ Per un giudizio
- La filosofia di Nietzsche rappresenta l'attacco più frontale e totale al Cristianesimo che la storia del pensiero conosca. Le tragedie del superomismo di estrema destra (il nazismo in particolare, con la sua scia agghiacciante di crimini immani e di lutti sterminati) hanno trovato in lui certamente una legittimazione teorica, e in molti casi uno stimolo propulsivo.
- Non si può però negare a Nietzsche un atteggiamento sincero, e in qualche modo coerente fino all'estremo, tanto più notevole se lo paragoniamo a quello di un Comte o di altri filosofi, che, pur detestando la Verità, hanno finto di esserle devoti (come Hegel), o almeno indifferenti (come tanti altri).
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Il pensiero di Nietzsche
L'ateismo di Nietzsche
Per Nietzsche il Superuomo
📖 Testi on-line
- Si può vedere una antologia di brevi testi di Nietzsche.
📚 Bibliografia essenziale
- Henri De Lubac,
Le drame de l'humanisme athée, Paris 19441, tr.it. Il dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana, Milano 2013 (
).
- Maurizio Ferraris,
Nietzsche e la filosofia del Novecento, Milano 1989(
).
- Karl Löwith,
Von Hegel zu Nietzsche, Zürich/New York 1941, tr.it. Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi, Torino 1949 (
).
- Gianfranco Morra,
Il cane di Zarathustra. Tutto Nietzsche per tutti
, Milano 2013(
).
- Ernst Nolte,
Nietzsche und der Nietzscheanismus, Frankfurt am M. 1990, tr.it. Nietzsche e il nitzscheanesimo, Sansoni, Firenze 1991 (
).
- Sofia Vanni Rovighi,
Uomo e natura. Appunti per una antropologia filosofica, Milano 1980(
).
- Gianni Vattimo,
Introduzione a Nietzsche, Roma-Bari 1985(
).
Ottimo lo studio di De Lubac, dal punto di vista teologico, e quello della Vanni Rovighi dal punto di vista filosofico (a pp. 32/49 del testo citato).
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