un ritratto di Fichte

Fichte, testi

la scelta fondamentale

La filosofia è questione di scelta: non si tratta di conformarsi a un dato oggettivo, bisogna piuttosto avere fiducia nella propria autonomia, nella propria libertà creatrice (vi è in questo una analogia con l'atteggiamento rivoluzionario nell'ordine pratico-politico, identica è l'ostilità per un ordine-kosmos che precede il soggetto).
Nel brano seguente si noti la fondazione che Fichte dà alla scelta per la libertà, intuita da Kant, ma non fondata rigorosamente, per cui l'io viene concepito come attività.

«L'essenza della filosofia critica sta in questo, che è posto un io assoluto come assolutamente incondizionato e non determinabile da nulla di superiore, e, se questa filosofia conclude conseguentemente da questo principio, allora diventa dottrina della scienza.

Al contrario, è invece dogmatica quella filosofia che pone qualcosa di uguale e di opposto all'io in sé; e ciò avviene nel concetto - inteso come superiore - di cosa (Ens), che in pari tempo, in modo completamente arbitrario, è posto come il concetto assolutamente supremo. Nel sistema critico la cosa è ciò che è posto nell'io; in quello dogmatico ciò in cui l'io stesso è posto; il criticismo è perciò immanente perché pone tutto nell'io; il dogmatismo è trascendente, perché procede ancora oltre l'io. [...]

Di questi due sistemi l'uno non può confutare direttamente l'altro, poiché il contrasto che li divide riguarda il principio primo di per sé indeducibile. L'uno riesce a confutare il principio dell'altro se viene ammesso soltanto il suo proprio. Si negano totalmente a vicenda. Non hanno in comune alcun punto in cui potersi intendere l'uno l'altro e accordarsi insieme. Se anche sembra che coincidano nei termini d'una proposizione in realtà l'uno li intende in senso diverso dall'altro.

Da quanto sappiamo fin qui, i due sistemi dal punto di vista speculativo sembrano dunque equivalersi: sono bensì incompatibili, ma d'altra parte l'uno non riesce ad aver ragione dell'altro. Ciò posto, ne emerge una questione interessante: “uno che si renda conto di questo fatto, cosa tutt'altro che difficile, da che mai può essere indotto a preferire uno dei due sistemi all'altro?” Com'è che, a totale rinunzia a risolvere il problema proposto, non si diffonde universalmente lo scetticismo?».

«Il contrasto tra l'idealista e il dogmatico consiste propriamente in ciò: se l'autonomia dell'io debba essere sacrificata a quella della cosa o viceversa. Che cos'è dunque che induce un uomo ragionevole a decidersi per l'una cosa piuttosto che per l'altra?»

(J. G. FICHTE, Fondazione di tutta la dottrina della scienza)


«Di questi due termini, uno solo può essere il primo, l'originario, l'indipendente: quello ch'è secondo non diventa necessario se non per il fatto ch'è il secondo, dipendente dal primo, al quale ha da essere legato.

Quale di questi due termini dev'esser fatto primo? La ragione non è in grado di fornire un principio che risolva l'alternativa, poiché si tratta non di collegare un membro all'interno d'una serie, per il che principi di ragione sarebbero sufficienti, ma di cominciare una serie intera, il che, essendo un atto assolutamente primo, non dipende che dalla libertà del pensiero. Tale atto è dunque determinato dall'arbitrio, e (...) dall'inclinazione e dall'interesse. La ragione ultima della differenza fra idealista e dogmatico è perciò la differenza del loro interesse.

L'interesse supremo, principio di ogni altro interesse, è quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il filosofo. [..]

La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un'inerte suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito dell'uomo che l'ha. Un carattere fiacco di natura o infiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla servitù spirituale, non potrà mai elevarsi all'idealismo. Si può mostrare al dogmatico l'insufficienza e l'inconseguenza del suo sistema, secondo quanto diremo tosto, lo si può tormentare e confondere in ogni senso, ma non lo si può convincere, perché egli non sa ascoltare e saggiare pacatamente e freddamente una dottrina che egli non può assolutamente tollerare.»

«Quell'esigenza che tutto debba concordare con l'io, che ogni realtà debba essere assolutamente posta dall'io, è l'esigenza di ciò che a buon diritto si chiama ragion pratica. Tale facoltà pratica della ragione era stata sinora postulata ma non dimostrata. La domanda di tempo in tempo rivolta ai filosofi, di dimostrare che la ragione è pratica, era dunque più che giusta. Ora tale dimostrazione dev'essere data in modo da soddisfare anche la ragione teoretica, la quale non può essere rimandata con una semplice decisione d'autorità. Ciò non è altrimenti possibile se non mostrando che per parte sua la ragione non può essere nemmeno teoretica se non è pratica; che nell'uomo non è possibile l'intelligenza se in lui non v'è una facoltà pratica; che su quest'ultima si fonda la possibilità di ogni rappresentazione. Ed è proprio quanto s'è fatto or ora, allorché si è mostrato che senza uno sforzo non è possibile in generale alcun oggetto. [···]

L'io è infinito, ma solo per il suo sforzo: esso si sforza di essere infinito. Nel concetto stesso di sforzo è già inclusa la finità, giacché ciò a cui non si contrasta non è uno sforzo. [...] è del tutto chiaro che l'io, in quanto pone assolutamente se stesso, in quanto è come si pone e si pone com'è, dev'essere assolutamente identico a se stesso, e che, per questo riguardo, non può insorgere in lui nulla di differente; dal che segue immediatamente che se dovesse sorgere in esso qualcosa di differente, questo dovrebbe essere posto da un non-io. Ma perché il non-io possa porre qualcosa in generale nell'io, la condizione della possibilità di una tale influenza estranea dev'essere precedentemente fondata, al di qua di ogni reale influenza estranea, nell'io stesso, nell'io assoluto.»