Il periodo giolittiano
una incompiuta apertura alla società civile
introduzione
L'età giolittiana segna una svolta rispetto alle tensioni sociali che l'hanno immediatamente preceduta, ma non riesce comunque a risolvere in profondità i problemi della società italiana
un grave scollamento tra società e Stato
Già sotto Crispi si erano avute forti tensioni sociali: alle manifestazioni di protesta da parte dei lavoratori il governo Crispi aveva risposta con spietata brutalità. Le cose non migliorano dopo la sua uscita di scena, nel 1896: il governo Di Rudinì (1896/98) affrontò con piglio estremamente autoritario la protesta per il rincaro del prezzo del pane, fino al parossistico episodio del maggio 1898, quando a Milano egli schierò l'esercito con l'artiglieria, al comando del generale Bava Beccaris, a fronteggiare i manifestanti, sparando cannonate e facendo un centinaio di morti.
Bava Beccaris non solo non venne indagato per tale comportamento, ma vene addirittura premiato.
Né le cose cambiarono col suo successore L.Pelloux, che presentò in Parlamento una serie di misure fortemente limitative della libertà sindacali e civili (di stampa e di associazione), scontrandosi con la comprensibile dura opposizione della sinistra, che ricorse, efficacemente, all'ostruzionismo.
In questo drammatico braccio di ferro tra una classe dirigente miope e la gran parte società italiana, si giunse all'uccisione del re Umberto I (1878/1900), allo stadio di Monza, nel luglio del 1900, ad opera dell'anarchico Gaetano Bresci, che voleva con ciò vendicare i morti di Milano del 1898.
la svolta: lo Stato si apre (parzialmente) alla società
Il nuovo re Vittorio Emanuele III abbandonò l'idea di continuare una politica repressiva dei fermenti sociali e incaricò di formare un nuovo governo il liberale di sinistra G.Zanardelli, che scelse come ministro dell'interno (preposto dunque all'ordine pubblico) Giovanni Giolitti.
Il governo Zanardelli si mosse in due modi:
- con una serie di riforme favorevoli ai ceti meno abbienti:
- limitando e tutelando il lavoro minorile e femminile nell'industria;
- migliorando le norme che prevedevano assicurazioni sugli infortuni e sulla vecchiaia;
- istituendo un Consiglio superiore del lavoro, a cui partecipavano anche rappresentanti dei lavoratori;
- autorizzando e favorendo la municipalizzazione dei servizi pubblici (elettricità, gas, trasporti).
- osservando una sostanziale neutralità nelle lotte tra lavoratori e padroni, col risultato che, non impedendo più scioperi e manifestazioni questi si moltiplicarono, e i padroni dovettero cedere soprattutto sugli aumenti salariali.
Crebbero anche i sindacati, operai e agrari (la Federterra). L'aumento dei salari, nominali ma anche reali (cioè del loro potere di acquisto) finì per giovare alla stessa industria, perché avendo più risorse, i lavoratori potevano spendere di più, comprando anche prodotti delle industrie italiane.
aspetti economici del giolittismo
Vi sono state luci e ombre: di positivo sicuramente il decollo industriale italiano, di negativo il divario tra il Nord sempre più sviluppato e il Sud, che rimane al palo e conosce un massiccio fenomeno di emigrazione.
il decollo industriale
Già negli ultimi due decenni dell'800 c'era stato un inizio di sviluppo industriale, ma il vero e proprio decollo avviene con Giolitti.
Giovò a questo la nascita di banche miste, che raccoglievano denaro dal risparmio privato e lo convogliavano a finanziare imprese industriali: si pensi al Credito italiano e alla Banca commerciale.
I settori che si svilupparono furono:
- il settore siderurgico, con i poli di Savona, Terni, Piombino e Bagnoli (vicino a Napoli);
- quello tessile, il più importante per quantità di stabilimenti (in crescita soprattutto il settore cotoniero);
- quello agro-alimentare, con lo sviluppo dell'industria dello zucchero;
- quello chimico, soprattutto con l'industria della gomma (si pensi alla Pirelli di Milano);
- quello meccanico, con l'affermazione dell'industria automobilistica (soprattutto la FIAT, fondata nel 1899 da Giovanni Agnelli);
- e quello elettrico, che conobbe un boom nel primo quindicennio del '900, passando da 100 mln di kilowattora, a 2 mld e mezzo nel 1914.
la crescita
Fra il 1896 e il 1914 il volume della produzione industriale risultò quasi raddoppiato, e la quota dell'industria nella formazione del prodotto nazionale passò dal 20% del 1900 al 25% del 1914.
In conseguenza a questo sviluppo si ebbe un aumento del reddito pro-capite del 30% nel primo quindicennio del '900. Migliorò così il tenore di vita della popolazione: non spendeva più solo o soprattutto per l'alimentazione, come in passato, ma anche per la casa, l'abbigliamento, i trasporti, l'istruzione e simili.
Soprattutto nelle città migliorarono le condizioni di vita, con la diffusione dell'acqua corrente nelle case e il miglioramento delle reti fognarie, mentre si sviluppavano i servizi pubblici, come l'illuminazione delle strade, i trasporti urbani, il gas domestico.
Certo l'Italia non era al livello dei paesi più progrediti, come l'Inghilterra (nel 1914 il reddito medio pro-capite italiano era la metà di quello inglese e l'analfabetismo nel 1911 era ancora al 37%), ma stava comunque sviluppandosi, come si vede tra l'altro dal calo della mortalità infantile nel quindicennio "giolittiano" (dal 17,4% al 13%).
arretratezza del Sud e emigrazione
Uno dei più vistosi limiti del giolittismo in campo economico fu il fatto che la crescita interessò solo il Nord (e in parte il Centro) del Paese, mentre il Meridione restò al palo, in condizioni di grave arretratezza.
- Basti pensare che nel 1903 viveva al Nord il 57% dei lavoratori dell'industria, mentre solo il 25% viveva al Sud (la cui popolazione era il 37% del totale italiano).
- Inoltre l'analfabetismo era molto più diffuso nel Sud: nel 1911 era al 60%, contro al 15% del Nord.
- Mancava al Sud una classe dirigente, e una borghesia moderna, e i rapporti, specie nelle campagne, erano di tipo clientelare e personalistico: più che premiare le capacità e le competenze premiavano l'amicizia (fatta spesso di servile accondiscendenza).
Tutto ciò spiega il massiccio flusso migratorio verso il Nord America, che riguardò soprattutto il Sud: tra il 1900 e il 1914 emigrarono 8 milioni di italiani, di cui almeno 2 milioni per stabilirsi definitivamente all'estero.
aspetti politici
Anche qui ci sono luci ed ombre: di positivo c'è la volontà di dialogo con le forze sociali (abbiamo visto che Giolitti ad esempio lasciava i lavoratori liberi di scioperare e manifestare) e con le forze che fino a poco prima erano ritenute anti-sistema e quindi da emarginare, i socialisti e i cattolici; di negativo il fatto che tale avvicinamento alle forze popolari mirò sempre a dividerle al loro interno e a subordinarle al proprio disegno.
realizzazioni: le riforme
Giolitti cercò costantemente di piacere a tutti, come evidenzia la vignetta tratta da L'asino; egli, che aveva offerto un posto di ministro nel suo governo a Filippo Turati, leader socialista, realizzò effettivamente alcune riforme “di sinistra”:
- pur rinunciando alla riforma fiscale, che avrebbe dovuto portare più equità,
- attuò, nel 1904, delle “leggi speciali” per il Meridione: per la Basilicata e per Napoli, volte ad incoraggiare la modernizzazione dell'agricoltura e lo sviluppo industriale, mediante stanziamenti statali e agevolazioni fiscali;
- fece approvare la statalizzazione delle ferrovie, anche se non in prima persona, ma delegando tale progetto al ministero Fortis;
- realizzò la cosiddetta conversione della rendita, cioè la riduzione del tasso di interesse pagato dallo Stato a chi deteneva titoli statali, senza con ciò provocare una massiccia vendita dei medesimi da parte dei loro possessori, che evidentemente si fidavano della solidità della finanza statale;
- negli ultimi anni attuò due importanti riforme:
- il suffragio universale (maschile), approvato nel 1912,
- il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita;
i socialisti
Abbiamo già ricordato che Giolitti offrì a Turati un posto di ministro nel suo governo, ma il leader socialista rifiutò, ritenendolo prematuro. Di certo Giolitti non mancò di corteggiare l'ala riformista del PSI, cercando di dividerla da quella rivoluzionaria.
Nel quindicennio “giolittiano” si alternarono, nel PSI riformisti, capeggiati da Filippo Turati, e rivoluzionari.
- Le tesi riformiste prevalsero all'inizio dell'esperienza giolittiana, quando molti nutrirono la speranza di una sincera svolta progressista dello stato;
- i rivoluzionari presero poi il sopravvento col congresso di Bologna del 1904, anno in cui si svolse il primo sciopero generale della storia unitaria; tale sciopero, causato da un nuovo “eccidio proletario”, in Sardegna, provocò paura nei ceti moderati e Giolitti, fedele al suo metodo, non lo contrastò. Ne seguì, alle successive elezioni, una battuta d'arresto per la sinistra;
- in seguito a una riflessione sui limiti dello sciopero, soprattutto la mancanza di coordinamento nel movimento operaio, nacque la CGL, a guida riformista,
- e i riformisti ripresero il sopravvento all'interno del PSI, riuscendo a espellere la frangia più estremista dei rivoluzionari, nel 1907;
- ma nel 1912, in seguito all'espulsione dei riformisti di destra, Bonomi e Bissolati, che si rifacevano a Bernstein e al laburismo inglese e avevano tenuto una linea troppo sfumata sull'impresa di Libia, il resto dei riformisti rimasto nel PSI fu di nuovo messo in minoranza da parte dei rivoluzionari; tra di loro campeggiava un giovane romagnolo, Benito Mussolini.
i cattolici
Anche qui Giolitti si mosse cercando il divide et impera, portando a sé i cattolici “buoni”, dividendoli da quelli “cattivi”.
All'inizio del '900 si era sviluppato, ad opera del sacerdote marchigiano Romolo Murri, un movimento democratico-cristiano, che si poneva abbastanza a sinistra, criticando il capitalismo e lo stato borghese e aspirando al suffragio universale, a una legislazione sociale e al decentramento amministrativo, riuscendo a pesare molto nell'Opera dei Congressi.
Ma il nuovo papa Pio X (1903-1914), a differenza di Leone XIII, osteggiò tale movimento, giungendo al punto di sciogliere l'Opera dei Congressi nel 1904, sostituendola con associazioni per il laicato strettamente controllate dalla gerarchia ecclesiastica. Murri, ribellatosi, venne sospeso a divinis.
E' vero che ciò non impedì al cattolicesimo progressista di continuare a svilupparsi in ambito sindacale (con le leghe bianche, tra le quali spiccava l'opera di Guido Miglioli, attivo nel cremonese, e sotto il quale le leghe cattoliche esplicarono una combattività non minore di quella delle leghe rosse; tuttavia Pio X fece prevalere nel mondo cattolico un indirizzo clerico-moderato: mentre Leone XIII si poneva in qualche modo come equidistante tra capitalismo e socialismo, Pio X ritenne che il male maggiore fosse il socialismo e che invece col liberalismo si potesse venire a patti.
Tale linea si incontrava con le aspirazioni di Giolitti, di portare dalla sua parte i cattolici “buoni”.
Il non expedit venne sospeso, in alcuni collegi del Nord, già alle elezioni del 1904, fino a che si giunse, in vista delle elezioni politiche del 1913, al cosiddetto Patto Gentiloni: i cattolici potevano, anzi dovevano andare a votare, pur non presentandosi come candidati, e avrebbero votato quei candidati liberali, che si fossero impegnati a sostenere certi valori cari alla Chiesa (tutela delle scuole cattoliche, opposizione al divorzio, riconoscimento delle organizzazioni sindacali cattoliche). Così vennero eletti oltre 200 deputati gentilonizzati
.
la politica estera
Se in politica interna Giolitti aveva cercato di accontentare soprattutto la sinistra, in politica estera egli cercò di piacere alla destra nazionalista: così nacque l'impresa di Libia.
accordo con la Francia, dissapori con la Triplice Alleanza
Le potenze europee erano ancora in piena febbre coloniale e restava ormai poco da spartirsi, in Africa (come in Asia). L'Italia si era accordata con la Francia, accantonando precedenti dissapori: alla Francia sarebbe toccato il Marocco (su cui anche la Germania aveva messo gli occhi, e questo accordo pesò sui rapporti italo-tedeschi, quelli con l'Austria essendo in crisi dal 1908, quando Vienna si annetté la Bosnia-Erzegovina, senza nulla cedere in cambio all'Italia), all'Italia la Libia.
lo sfondo preparatorio
- Come sfondo ideologico all'impresa di Libia possiamo ricordare la teoria di Enrico Corradini della contrapposizione tra nazioni capitalistiche e nazioni proletarie; quella, e non il contrasto tra borghesi e proletari all'interno delle nazioni era la vera lotta. E l'Italia era appunto una nazione proletaria, che aveva il diritto di cercare un proprio posto al sole nel fenomeno coloniale.
- Sul piano concretamente politico nacque un movimento nazionalista che si organizzò nel 1910 come Associazione nazionale italiana, realtà peraltro che vedeva al suo nascere aspirazioni non soltanto coloniali, ma anche irredentistiche, anche se la prima componente finì col prevalere.
La conquista della Libia
La Libia era formalmente parte dell'Impero Ottomano. L'Italia attaccò nel settembre 1911, trovando scarsa resistenza da parte dei turchi, ma ben maggiore da parte delle popolazioni arabe indigene, che diedero vita a una estenuante guerriglia. Per costringere gli ottomani alla resa l'Italia occupò delle isole nel mare Egeo (Rodi e il Dodecanneso), e nell'ottobre 1912 la Turchia firmò la pace di Losanna, con cui cedeva all'Italia i diritti sulla Libia.
effetti
La Libia si rivelò un pessimo affare dal punto di vista economico: non essendovi ancora stato scoperto il petrolio, venne definito un grande scatolone di sabbia, deludendo le attese di grandi vantaggi.
Effetto della guerra di Libia invece fu una radicalizzazione dello scontro politico in Italia, cioè qualcosa di diametralmente opposto al disegno giolittiano, con la sua tendenza a mediare e conciliare.
⚖ Per un giudizio
i giudizio di contemporanei
Furono molte le critiche che Giolitti dovette incassare, anche per motivi opposti:
- i socialisti e i cattolici gli rimproveravano di aver avviato un dialogo con loro più apparente che reale, puntando in realtà d dividerli al loro interno e a cooptarne, per così dire, solo la parte più malleabile alla sua egemonia,
- i liberali più intransigenti, come S.Sonnino e L.Albertini, direttore del Corriere della sera, al contrario gli rimproveravano di avere aperto troppo a forze anti-sistema, attentando alle tradizioni risorgimentali.
Ma il critico più implacabile di Giolitti fu Gaetano Salvemini, che lo bollò con l'epiteto di ministro della malavita
, per i suoi torbidi legami con il notabilato meridionale, anche quando questo era sostanzialmente malavitoso. Comunque con Giolitti, secondo Salvemini, il Sud aveva peggiorato il suo divario dal Nord.
oggettivi limiti del giolittismo
Giolitti cercò di esercitare quella che fu chiamata una dittatura parlamentare
, assicurandosi un sostegno trasversale, sulla scia del trasformismo di Depretis.
La sua visione della vita parlamentare era imperniata sulle persone: gli rimase estranea l'idea, moderna, di partito.
Più al fondo, egli rimase alla superficie della vita, politica e civile, italiana: pur rappresentando un cambiamento in meglio rispetto a Crispi e ai governi di fine '800, non riuscì a entrare in un autentico dialogo con le forze più vive della società.
crisi del giolittismo
Il giolittismo manifestò segni di crisi da prima della Grande Guerra, allorché, nel giugno 1914, scoppiò la settimana rossa, con forme di protesta eversivo-insurrezionali, con atti di sabotaggio contro linee del telegrafo e ferroviarie, assalti a edifici pubblici, presa in ostaggio di ufficiali dell'esercito.
La settimana rossa esaurì la sua forza rapidamente, ma per la borghesia fu un trauma, che suggerì a molti, sebbene al governo in quel momento non ci fosse Giolitti ma Salandra, l'idea che il tentativo giolittiano di mediare a oltranza fosse sostanzialmente fallito.
🤔 Quick test
Giolitti impresse risolse definitivamente il distacco tra paese reale e paese legale
La liberalizzazione degli scioperi sotto Giolitti
La politica di Giolitti
L'impresa di Libia
📚 Bibliografia essenziale
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna. Vol. 7. La Crisi Di Fine Secolo E L'Età Giolittiana. , Milano 1982().
- Gianpiero Carocci, Giolitti e l'età giolittiana, Torino 1961().
- Denis Mac Smith, Storia d'Italia 1861-1958, Bari 1959().
🎬 Filmografìa
- Un classico sull'Italia di inizio '900 è Novecento (1976), di Bernardo Bertolucci.
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