L'attacco all'Ucraina: perché?
il drammatico scontro tra autocrazie e democrazie
la più grande tragedia geopolitica del Novecento»
(V.Putin)
«la via della pace passa per la democrazia, e non viceversa»
(Vittorio Emanuele Parsi, Il posto della guerra, cap. V, par. 2)
introduzione
L'invasione putiniana dell'Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, non è un episodio regionale, mosso da motivi etnici, ma un tassello di un più ampio scontro, quella che papa Francesco ha chiamato la Terza Guerra Mondiale a pezzi: ora si chiarisce che lo scontro è tra le autocrazie dispotiche (Russia putiniana, Cina comunista, Iran, Corea del Nord) e le democrazie.
In Ucraina era in atto un processo di democratizzazione, che è la vera ragione per cui un regime autocratico ha pensato di invaderla, soffocandone lo sviluppo verso la democrazia, per evitare un contagio democratico alle proprie frontiere.
Se non si ha chiaro questo si rischia non solo un grave fraintendimento dei fatti, ma di abbassare la guardia davanti alla minaccia mortale per la libertà e i valori democratici, favorendo esiti catastrofici per l'Occidente e la democrazia.
i fatti: una incredibile sofferenza
Il popolo ucraino, dal 24 febbraio 2022 sta venendo massacrato da Putin. Riportiamo una testimonianza, citata agli Esercizi di CL del maggio 2022:
«L’esperienza della vita del movimento mi ha donato la possibilità di percorrere tutto il cammino di Marta di cui hai parlato e di sperimentare il desiderio costante di Cristo che ne è scaturito. Grazie a questa esperienza io vedo la Sua misericordia ogni giorno. Ma in questi mesi il male è diventato talmente grande che per gli ucraini non si tratta dell’insoddisfazione di Marta per il fatto che l’uomo è destinato a morire. La mia città viene bombardata tutti i giorni, molte donne hanno dovuto lasciare le loro case, hanno perso i loro familiari, visto andare in guerra i mariti. Hanno paura, soffrono, provano odio. In questo momento, per l’assedio di Mariupol, ci sono donne e bambini che muoiono di fame o sono feriti e subiscono sofferenze tremende. Sono sepolti vivi. È come se l’esperienza di Marta mi proponesse di staccarmi dalla mia realtà o di accontentarmi della memoria di Cristo. L’Ucraina adesso non sta vivendo l’esperienza di Marta, ma quella di Cristo che sulla croce gridava: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E molti di noi sanno che non era stato abbandonato, perché noi conosciamo Cristo risorto. Ma come possiamo vivere oggi nel male totalizzante, in cui perfino Cristo ha fatto fatica a vedere il Padre?».
Chi non si lascia smuovere da queste testimonianze è un cinico, nel cui cuore alberga colui che è «omicida fin dal principio».
Il quotidiano Avvenire è tra le altre una fonte autorevole delle atroci sofferenze inferte al popolo ucraino. Così comincia uno dei più significativi reportages al riguardo:
«Bucha non è solo l’altro nome dell’inferno per civili inermi. Bucha è il metodo per dominare e addomesticare. Come a Snigurivka, dove vige la legge senza regole di Yuriy Barbashov, il comandante che decide chi a quest’ora dev’essere già morto. Ha fatto scavare almeno un centinaio di buche. Poi riempite. Un condannato alla volta. Per dare l’esempio, e non fare baccano.
Torture, uccisioni indiscriminate, fosse comuni, intimidazioni. Quelle che raccogliamo lungo le strade del sud sono le voci vicine di un tempo lontano: l’assedio, la fame, i ricatti per restare in vita. Ci arrivano con l’aiuto dei partigiani nascosti nei villaggi controllati da Mosca. Barbashov è un separatista, ma questa zona non è il Donbass. Eppure lui è qui per completare l’opera che i giovani carristi russi non erano riusciti a ultimare.» (fonte: Avvenire 13.08.2022)
i fatti negati e deformati: la fabbrica delle menzogne
La Rai mette a disposizione interessanti video sulla sistematica fabbrica di fake news da parte sovietico-russa: lo si può vedere qui sul sito della RAI, oppure direttamente qui sotto.
La sistematica fabbrica di menzogna da parte “russa” (le virgolette sono perché non voglio dare la colpa al popolo russo, ma a chi lo governa oggi) è per certi aspetti ancora più disgustosa e satanica dei bombardamenti. Analogamente a come aver negato di aver stuprato una donna è un po' come stuprarla ancora.
Tra le tante menzogne, memorabile resterà quella detta da Putin alla parata del 9 maggio 2022. Putin, con la spudorata e grottesca, tragicomica, menzogna di ieri («ci volevano invadere»), ha superato in falsità lo stesso Hitler.
Come pretesto per invadere la Polonia infatti Hitler ebbe più pudore di Putin, e si guardò bene dal dire che la Polonia voleva invadere la Germania.
Qualcosa invece di simile al discorso di Putin si trova in certi fondamentalisti islamici, secondo cui l'espansione arabo-islamica dei primi secoli fino alla Spagna a Ovest e all'India a Est era dovuta alla necessità di difendersi.
le fasi della guerra, in sintesi
- all'inizio (febbraio/marzo 2022) Putin punta a destituire il legittimo governo urcraino e a fare nuovamente dell'Ucraina una colonia russa, ma l'Ucraina fa quadrato attorno al suo presidente e l'Occidente non si divide, come il despota russo probabilmente sperava:
- fallita la spallata al governo, Putin si concentra sull'invasione delle regioni dell'Est e del Sud, così da impedire all'Ucraina l'accesso al mare, e qui egli ha un parziale successo, nonostante l'eroica resistenza ucraina, ad esempio a Mariupol.
- ma nell'estate del 2022 l'Ucraina riesca ad attuare una prima efficace contro-offensiva,m che costringe Putin a usare la parola, prima proibita, guerra e a promuovere una mobilitazione generale. Moltissimi giovani russi fuggono all'estero per evitare di essere arruolati.
- a questo punto Putin, non potendo vincere sul campo, inizia a bombardare indiscriminatamente i civili ucraini, attaccando Kiev e le altre città, prima risparmiate dai missili. Durante l'inverno 2022-23 Putin cerca di lasciare al buio e al freddo i civili ucraini, bombardando con insistenza le centrali elettriche. Ma il popolo non si arrende, anzi si compatta attorno al suo legittimo presidente.
- Il 2023 vede il fallimento della contro-offensiva ucraina (a lungo, e non senza ragione, rimandata), a causa dell'incredibilmente scarso aiuto giunto dagli Stati Uniti, dalla inefficacia delle sanzioni contro la Russia, dall'espandersi del fronte guidato da Russia e Cina (il BRICS, a cui anche il Brasile di Lula contribuisce, da perfetto “utile idiota”, accecato da un anti-americanismo viscerale) e dalla geniale apertura di un fronte secondario, con gli attacchi a Israele del 7 ottobre, che distolgono l'attenzione dal fronte ucraino e i relativi aiuti (oltre a contribuire a rendere odioso il fronte dei paesi democratici, che sostiene Israele).
come si è arrivati fin qui: gli errori occidentali
sfondo generale
il peccato, radice di ogni guerra
1. In generale gli esseri umani sono per natura buoni, ma il peccato originale e l'azione del diavolo alterano la condizione effettiva, storica della natura umana, facendo sì che gli esseri umani dimenticando di appartenere alla stessa umanità, si mettano gli uni contro gli altri. Anzi facendo sì che ci sia divisione anche dentro ogni persona. Si abbandona così l'universalismo, che riconosce che il mio vero bene coincide col vero bene di chiunque altro, e si persegue il particolarismo, per cui il mio bene sarebbe alternativo al tuo: mors tua vita mea.
“noi contro loro”: un malinteso senso dell'identità
2. In particolare, nei paesi dell'Europa orientale il senso di appartenenza collettiva etnico-nazionale è senza paragone più forte che in quelli occidentali, dove prevale il valore dell'individuo. Questo di per sé potrebbe non essere negativo: c'è un amore sano alla propria patria, è nella natura delle cose che l'appartenenza all'umanità totale sia mediata da appartenenze più prossime e necessariamente più ristrette; ed è anche normale che in alcuni paesi ci sia un maggior senso di appartenenza collettiva, e in altri una maggior sottolineatura del valore dell'individuo e della sua libertà. Ma quando la comunità prossima viene concepita, invece che come una parte, come il tutto, un tutto chiuso in sé stesso, quando l'interesse della propria patria è messo in contrasto con l'interesse di altre patrie e non si vuole riconoscere ad altre comunità una parità di diritti, allora ci troviamo davanti a qualcosa di negativo. Così infatti il patriottismo si perverte in nazionalismo: noi contro loro. “Noi buoni” contro “loro cattivi”. Ragionare in questo modo è sempre sbagliato, perché gli esseri umani non sono resi buoni o cattivi dal fatto di appartenere o meno a una certa categoria che non dipenda dalla loro libera volontà, come lo sono la razza o la nazione. Gli esseri umani sono buoni o cattivi in base a come usano la libro libertà, che ogni individuo è chiamato a rischiare.
democrazie, dittature e guerra
3. Come ben argomentava Kant, gli scontri tra Stati e le guerre sono promosse in modo enormemente più facile da Stati non democratici. Perché in una democrazia l'ingresso in guerra deve essere approvato da una complessità di poteri reciprocamente bilanciantesi e “distribuiti”, e in democrazia tali poteri (in pratica il governo e il parlamento) sono sensibili agli umori dell'opinione pubblica, dato che chi li ha messi al posto dove sono è il voto popolare, e le opinioni pubbliche, se ben informate da fonti di informazioni pluralistiche (e non da propagande belliciste a senso unico, come nei regimi dittatoriali), sono in genere restie alle guerre, se non altro perché ne temono le inevitabili conseguenze distruttive. Nei regimi non democratici invece chi governa non deve cercare la conferma del voto popolare, controlla totalmente i mezzi di informazione e può reprimere qualsiasi dissenso. E questo permette di presentare il “nemico” in modo menzognero e caricaturale, enfatizzandone la cattiveria e la pericolosità, senza che nessuna voce libera possa smentire tali menzogne. La storia conferma che i regimi non-democratici sono incomparabilmente più guerrafondai di quelli democratici: la prima e, più ancora, la seconda guerra mondiale sono state scatenate da regimi rispettivamente autoritari (Imperi austro-ungarico e germanico) ed espressamente totalitari (Germania nazista, Italia fascista, a cui andrebbe aggiunta anche l'URSS, che siglò lo scellerato patto Molotov-Ribbentrop).
Inoltre nei paesi democratici esiste la massima trasparenza: quello che i politici decidono, tutti lo possono venire a sapere. Quindi diventa molto difficile che un paese democratico possa prepararsi ad attaccare un altro Stato senza che lo si sappia con ampio anticipo, e senza che tale scelta sia sottoposta al vaglio dei rappresentanti del popolo e del popolo stesso, che può ad esempio manifestare contro di essa. Mentre in un paese dispotico, autocratico, la popolazione non sa (e gli altri Stati nemmeno) che cosa chi li comanda stia tramando. Anche perché, come si è visto nell'invasione dell'Ucraina, un dittatore può mentire nel modo più spudorato e sistematico.
Come osserva Vittorio Emanuele Parsi:
«la trasparenza dei processi assicurata dalla democrazia consente alle società di rimanere “aperte” – al loro interno e le une verso le altre – e impedisce a qualunque leader politico di mobilitarne le risorse a scopo offensivo.»
(Il posto della guerra, Bompiani 2022, Introduzione)
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Francia e Germania non hanno più alcun motivo di temersi reciprocamente, perché le democrazie che si sono saldamente instaurate in tali paesi rendono impensabile, data la totale trasparenza dei processi decisionali, che una tale eventualità possa attuarsi.
Putin invece fino al giorno prima dell'invasione dell'Ucraina, poteva impunemente giurare e spergiurare che mai avrebbe invaso l'Ucraina. La menzogna sistematica e la non-trasparenza dei processi decisionali sono indubbiamente una tipica prerogativa dei regimi non-democratici.
Per approfondire il tema, oggi decisivo, della preferibilità della democrazia sul dispotismo si può vedere questa pagina sulla democrazia.
effettivi errori dell'Occidente
Sugli errori dell'Occidente, la illusoria ebbrezza post-caduta del muro, si può vedere questa sezione del sito Cultura nuova.
come si è arrivati fin qui: (pseudo)motivazioni
I pretesti propagandistici putiniani
in sintesi
L'attacco putiniano all'Ucraina
non è un fenomeno regionale, mosso da motivi etnico-nazionali, ma
un fenomeno di natura globale, mosso da motivi ideologici (o meglio di visione culturale totalizzante), è solo una tessera di un mosaico molto più greande globale, la Terza Guerra Mondiale, di cui parla papa Francesco, i cui pezzi si stanno saldando. I motivi etnico-nazionali addotti appaiono ampiamente un po' come lo erano i motivi addotti da Hitler per giustificare il suo espansionismopretestuosi:
Questo appare confermato da diversi fatti:
- il fatto che dietro la Russia putiniana ci stiano la Cina, la Corea del Nord, l'Iran, potenze accumunate non da motivi territoriali, ma da una ben precisa comunanza ideologica, il dispotismo (a conferma del carattere ideologico,e non etnico-nazionale del conflitto);
- il fatto che ci siano dei russi che hanno attivamente agito a favore dell'Ucraina (a smentita del carattere etnico-nazionale del conflitto);
- il fatto che la Russia attuale non sia semplicemente un regime moderatamente autoritario, ma una vera e propria dittatura, sempre più spietata (l'uccisione del principale oppositore di Putin, nel febbraio 2024, è solo l'ultimo, sfacciato, episodio di una lunga serie di avvitamenti in senso totalitario del regime).
Premessa: esiste l'Ucraina?
Motivazioni di una resistenza
La propaganda “putiniana” (le virgolette sono perché non è solo Putin a sostenerlo, ma anche l'oligarchia che lo sostiene) tende a negare l'esistenza stessa di una identità nazionale ucraina.
Una risposta immediata e attuale a questa tesi è nella eroica resistenza che ha finora opposto all'invasore. Eroica perché il popolo ucraino sta subendo attacchi giorno e notte da parte di una potenza decisamente superiore in termini di capacità militare (oltre che demografica ed economica), senza perciò arrendersi o fare quello che Putin sperava facesse, rovesciare il suo presidente, Zelensky.
Ma che l'Ucraina esista è documentato anche da altro, a partire dal fatto che esiste una lingua ucraina e una mentalità ucraina, più dinamica di quella di gran parte della Russia (almeno della Russia “profonda”, rurale e tradizionalista, per non parlare dei nostalgici di Stalin, che ci sono e non sono pochi, anche nella al punto che c'è chi pensa seriamente a santificare StalinChiesa ortodossa) soprattutto nell'area occidentale, dove il legame con l'Europa è più forte.
nazismo ucraino?
A rinsaldare il senso di identità ucraina mi risulta abbia contribuito in modo molto forte il massacro per carestia che attuò Stalin nei confronti dei kulaki, contadini (soprattutto ucraini) arricchitisi con la la Nuova Politica Economica, che reintroduceva, nell'URSS comunista, elementi di libero mercato, cfr. la pagina sul comunismo in cultura nuovaNEP: furono milioni gli ucraini che persero la vita.
Anche per questo, quando i tedeschi avanzarono nell'Unione Sovietica nel 1940 trovarono in molti ucraini degli alleati contro i russi (analogamente a come trovarono come alleati molti croati contro i serbi e molti slovacchi contro i boemi).
E questo spiega anche la leggenda degli ucraini come nazisti: certo, durante la 2a guerra mondiale, memori dei massacri di Stalin, molti ucraini preferivano Hitler al dittatore georgiano. Solo per questo, non perché ne condividessero il programma criminale.
Se però fosse vero che oggi gli ucraini aderiscono all'antisemitismo nazista non si capirebbe perché Israele sia decisamente più vicino all'Ucraina che a Putin. Né si capirebbe perché i nemici di Israele tifino invece per Putin.
Su questo punto si trovano interessanti notizie sul Il Post, da cui cito le seguenti informazioni:
1. È vero che in Ucraina ci sono i nazisti?
«In Ucraina, come in tutti i paesi europei, sono presenti gruppi e partiti di estrema destra. L'Ucraina ha anche una lunga storia di collaborazionismo col regime nazista tedesco durante la Seconda guerra mondiale. Oggi però i gruppi neonazisti fanno parte di una frangia estremamente minoritaria della politica ucraina. Alle elezioni parlamentari del 2019 vinte dall'attuale presidente Volodymyr Zelensky – che fra l'altro è ebreo – il principale partito neofascista, Svoboda, ha preso il 2,15 per cento dei voti.
Il controverso Battaglione Azov, una milizia incorporata nell'esercito ucraino che ha posizioni esplicitamente neonaziste, prima della guerra contava appena qualche centinaio di membri.
Molti analisti concordano sul fatto che il presidente russo Vladimir Putin abbia accusato le istituzioni ucraine di connivenza con i neonazisti per fare leva su un sentimento di orgoglio ancora oggi molto diffuso in Russia per il contributo dato dall'Unione Sovietica a sconfiggere la Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.»
una identità plurale
Certo, rimane che l'Ucraina è un paese complesso, in cui vi sono forti legami storici con la Russia e una nutrita comunità etnico-linguistica russofona. Li si chiami o meno coloni, è un fatto che abitano in quelle terre, come nell'Irlanda del Nord abitano dei protestanti di origine prevalentemente scozzese, con la stessa finalità dei coloni russi in Ucraina (o nei paesi baltici, o in altre ex-repubbliche sovietiche): facilitare il controllo della potenza imperiale sulle sue colonie.
Ma, ribadiamolo: qui non è in gioco una questione etnica, ma una battaglia tra due modelli di Stato, democratico (e quindi più facilmente pacifico) o autocratico (e quindi intrinsecamente incline alla sanguinarietà).
Motivazioni pretestuose
1. Genocidio?
la storia dei Sudeti si ripete
Sulle possibili angherie subite dai russofoni Putin e la sua propaganda parlano addirittura di genocidio. Ora questa affermazione non pare avere alcun fondamento. Che da parte ucraina ci possano essere stati atteggiamenti nazionalistici, poco rispettosi dell'identità linguistica e comunitaria dei russofoni può essere. Ma che gli ucraini abbiano intrapreso un “genocidio” mi pare proprio tesi priva di ogni credibilità. Prescindendo dal fatto che lo stato ucraino è uno stato avviato verso la democrazia, con mezzi di informazioni non manipolati dal regime (a differenza dello stato russo, dittatoriale), resta che se davvero vi fossero stati episodi efferati, la domanda che viene è “perché allora la Russia non li ha denunciati nelle sedi internazionali?” Esiste il tribunale dell'Aia, ad esempio, ed esistono le Nazioni Unite. Perché non ne hanno parlato in quelle sedi, magari producendo della prove. Ma poi, se davvero ci fosse stato genocidio, perché Lavrov non ne parlava, prima del 24 febbraio? E perché, anche dopo il 24 febbraio, non ne ha parlato il patriarca Kirill, che ha dovuto arrampicarsi sugli specchi per giustificare l'intervento russo?
Se poi in un certo Stato esiste una guerriglia separatista, da che mondo è mondo lo Stato centrale ha sempre combattuto, con le armi, chi, con le armi, lo combatte.
Poi, da parte ucraina ci potranno essere stati atteggiamenti nazionalistici e particolaristici. Se si può capire l'esasperazione contro i russi di un popolo martoriato da bombardamenti continui contro obbiettivi civili, resta che l'aver protestato per la presenza, nella Via Crucis del Venerdì Santo 2022 a Roma, di una russa accanto a una ucraina, è oggettivamente una manifestazione di nazionalismo particolaristico, che di fatto contrasta con l'idea di fratellanza universale. Ma il genocidio è tutt'altra cosa.
Questa motivazione quindi non appare sostanzialmente meno pretestuosa di quella avanzata da Hitler (la difesa dei Tedeschi dei Sudeti, “oppressi” dai boemi) come pretesto per l'invasion e lo smembramento della Cecoslovacchia.
2. Una sicurezza minacciata?
L'idea che la (vicinanza della) NATO metta a repentaglio la sicurezza della Russia è un'altra idea delirante e in questo caso ancor più evidentemente priva di fondamento. Per diversi motivi: intanto la NATO è una alleanza difensiva, che non ha mai attaccato un paese democratico e pacifico. Sono intervenuti sì gli Stati Uniti, ma contro un regime come quello serbo, che democratico e pacifico non era, o come quelli afgano e irakeno, che, loro pure, democratici e pacifici non erano (anche se, nel caso dell'Irak ho già detto che si è trattato di un grave errore).
In secondo luogo la NATO non attaccherebbe la Russia se non altro per la semplice ragione quest'ultima dispone di armi atomiche e una guerra tra due potenze atomiche provocherebbe danni talmente gravi e incalcolabili da sconsigliarla. Soprattutto dei paesi democratici, in quanto tali sensibili alla loro opinione pubblica, non scatenerebbero mai una guerra atomica di tipo offensivo. Del resto la prova provata che la NATO non attaccherebbe per prima la Russia è nel fatto sotto gli occhi di tutti che la NATO non attacca la Russia nemmeno per difendere un paese amico che viene dalla Russia invaso. Infatti la NATO non sta intervenendo direttamente per difendere l'Ucraina. Se quindi non sfodera la sua forza nemmeno per difendersi, perché dovrebbe sfoderarla per attaccare? Sono solo i paesi dittatoriali che pensano sempre e solo alle guerre di aggressione, i paesi democratici hanno ben altro a cui pensare. E infatti si lasciano cronicamente prendere alla sprovvista dalle aggressioni dei paesi dittatoriali, come nel caso dell'invasione russa dell'Ucraina.
In terzo luogo dato che esistono da decenni missili balistici intercontinentali non ha senso temere distanze ridotte, visto che in una guerra atomica le distanze avrebbero un senso decisamente limitato, per non dire praticamente nullo.
In quarto luogo, anche se la vicinanza contasse qualcosa, esistono già paesi NATO confinanti con la Russia, e la distanza tra il loro confine e il cuore della Russia non è maggiore di quello che si avrebbe con un eventuale ingresso dell'Ucraina nella NATO.
La Svizzera, paese non membro della NATO, è circondata da paesi NATO. Eppure non protesta che la sua sicurezza sia minacciata, né cerca di invadere i paesi confinanti giustificandolo come suo diritto per garantirsi la sicurezza. Perché? Perché la NATO è una alleanza difensiva di paesi democratici, che non attaccherebbe mai paesi democratici e pacifici. Anzi vediamo in questa circostanza dell'invasione russa dell'Ucraina, che non interviene militarmente nemmeno per difendere un paese democratico aggredito da un paese non democratico. Quindi il vero motivo per cui la Russia teme che dei paesi confinanti entrino nella NATO non è un loro possibile attacco militare, ma il fatto che tali paesi non potrebbero più essere invasi o comunque minacciati militarmente dalla Russia, e potrebbe quindi vivere in pace un assetto democratico. Che alla Russia, oligarchica e semi-dittatoriale, dà fastidio, perché rischia di contagiare la popolazione russa, svegliandola e spingendola a liberarsi dell'oligarchia al potere.
Espansionismo della NATO?
Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia 1981, Ucraina 2022
Qui si colloca un'altra questione: l'espansione della NATO verso Est, con l'ingresso in essa di paesi ex-Patto di Varsavia, si spiega con una imposizione della NATO a tali paesi o come una libera adesione di di questi ultimi?
Ricordiamo che la NATO unisce paesi democratici, in cui è la popolazione a scegliere i propri governanti, e che nella sua storia la NATO non solo non ha forzato nessuno a entrarvi, ma non ha minacciato chi voleva uscirne, o chi di fatto ne è uscito, come fece a suo tempo la Francia con De Gaulle.
E i paesi dell'Est che hanno aderito alla NATO lo hanno fatto di loro spontanea volontà. La Russia infatti, come immagino l'obiezione: l'URSS non coincide con l'attuale Russia (Federazione russa), né da un punto di vista territoriale, dato che quella era molto più estesa, né da un punto di vista politico; tuttavia la continuità è molto maggiore di quanto si potrebbe credere. Putin è molto più in continuità con Stalin di quanto non lo fosse GorbaciovUnione Sovietica aveva impedito ai suoi paesi satelliti (membri, loro malgrado, del Patto di Varsavia) di allontanarsi dal suo sistema politico e aveva perciò invaso l'Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia nel 1968, e costretto la Polonia a auto-invadersi nel 1981.
Quindi è più che comprensibile che i paesi dell'Est ex membri del Patto di Varsavia, cioè ex satelliti russi, non si siano fidati del potente vicino, animato da una pretesa imperiale di dominio su altri popoli, e abbiano voluto, aderendo alla NATO, mettersi al riparo dagli artigli dell'Orso. Nessuno li ha costretti. Loro stessi, retti da governi liberamente scelti dalla loro cittadinanza in base a un sistema democratico e pluralistico, hanno chiesto di aderire alla NATO, temendo la minaccia russa.
I fatti del 2022 dimostrano che i loro timori erano più che giustificati.
E il fatto che ora anche Svezia e Finlandia, due paesi democratici che non possono certo essere detti burattini degli Stati Uniti, vogliano entrare nella NATO, dice che la Russia viene, e giustamente, vista non come un paese che si limita a difendere i diritti minacciati della minoranza russofona del Donbass, ma come un paese aggressivamente imperialista, le cui mire vanno ben al di là del Donbass.
Sulle reali mire ultime della Russia si può vedere questo interessante articolo de La Nuova Europa, così riassunto da Adriano Dell'Asta, che lo ha segnalato su Facebook:
«In un articolo pubblicato su RIA Novosti, principale agenzia d’informazione del Cremlino, la Russia reinterpreta il proprio ruolo messianico (religioso e politico) come «decolonizzazione» di tutto il mondo, un compito senza limiti motivato dall’odio antioccidentale.
È per questo motivo e a questo scopo ultimo (la denazificazione dell’Occidente e di tutto il mondo esterno) che la Russia ritiene necessario distruggere l’Ucraina come Stato sovrano, cancellarne il nome e la storia e quindi soggiogarne totalmente la popolazione con repressioni e censura. Lo stesso modello d’intervento potrà essere applicato poi ad altri Stati sovrani, finché tutto il mondo, in primis l’Occidente, non sarà uniformato a questo progetto, progetto estremamente inquietante, non solo per la negazione di tutte le norme del diritto internazionale, non solo per la ferocia delle misure di coazione previste sull’intera popolazione, non solo per l’assoluto e totale contrasto con i principi umani universalmente riconosciuti, ma anche per l’allucinante somiglianza con quanto il nazismo fece realmente nei territori da lui occupati 80 anni fa, per non parlare di cosa accadrebbe alle categorie «impossibili da rieducare»….
3. La chiamata in correità dell'Occidente
Questa non è una vera motivazione, ma un argomento usato comunque per giustificare l'aggressione all'Ucraina. In sostanza Puntin ha detto: aggredendo l'Ucraina, io faccio quello che anche voi, occidentali fate.
E qui, come chiarisce Vittorio Emanuele Parsi, Putin gioca su un equivoco. È vero cioè che l'Occidente in passato, ha fatto delle guerre di aggressione, annettendosi tramite esse dei territori che non erano in precedenza suoi.
Ma questo è avvenuto in passato, prima del 1945.
Da allora l'Occidente non ha più fatto guerre per annettersi territori altrui.
Gli interventi militari all'estero successivi al 1945 non hanno avuto tale caratteristica: i già citati casi di Irak, Afganistan, Serbia e mettiamoci anche Libia. Che ci siano stati degli errori, soprattutto da parte americana (non tanto della NATO in quanto tale) non è negabile. Ma non sono mai state sottratte a uno Stato sovrano delle porzioni di territorio, per farne parte di qualche Stato europeo.
Quindi Putin avrebbe dovuto dire, non faccio quello che voi fate, ma faccio quello che voi avevate fatto, prima della Seconda Guerra Mondiale. Come osserva Parsi:
«la Russia agisce con perfetta coerenza rispetto al “vecchio Occidente” – o, per essere più precisi, a quella componente del concetto di Occidente che risale al passato e che ne ha determinato quella centralità materiale nel sistema internazionale che è arrivata sino ai nostri tempi. Nella logica, nell’atteggiamento e nel comportamento della Russia di Putin non c’è nulla di diverso da ciò che avrebbero fatto la Prussia, la Svezia, la Francia, la Spagna o l’Inghilterra dal XVI secolo fino al 1914. Ciò che Putin rifiuta di riconoscere è che, dopo il 1945, il “nuovo Occidente” ha dato forma istituzionalizzata a un’altra identità, nella quale il ricorso alla guerra di aggressione è bandito, così come non è più eticamente ammissibile l’annessione di porzioni di territorio altrui attraverso l’occupazione militare.»
(Il posto della guerra, Bompiani 2022, Introduzione)
Va infatti osservato anzitutto che gli Stati in cui l'Occidente è intervenuto, dopo il '45, erano stati non democratici e non pacifici, a differenza dell'Ucraina, stato democratico e pacifico.
Inoltre vi è stata una vera e propria invasione solo con la seconda guerra del Golfo, ma con la grossa differenza, rispetto all'aggressione russa all'Ucraina del 2022, che gli irakeni, se nella loro grande maggioranza non hanno accolto le truppe USA a braccia aperte, nemmeno hanno opposto una resistenza anche solo lontanamente paragonabile a quella che gli ucraini oppongono ai russi. In meno di un mese (20/3/2003 - 15/4/2003) infatti tutte le principali città dell'Irak erano state prese dalla coalizione a guida USA, senza alcun bisogno di bombardare edifici civili, come hanno fatto i russi con ospedali, scuole, ferrovie, e senza scontri armati particolarmente cruenti. Solo successivamente si sarebbero verificati episodi di cecchinaggio e ulteriormente altri fenomeni di ribellione alle truppe occidentali.
Ma soprattutto, come si è detto, gli Stati Uniti non hanno fatto delle guerre per annettersi dei territori, strappandoli ai paesi vinti: non si sono annessi territori dell'Irak, non si sono annessi territori dell'Afghanistan, non si sono annessi territori della Serbia. La Russia invece ha fatto qualche anno fa una guerra all'Ucraina e si è annessa la Crimea. E anche adesso vuole annettersi territori ucraini.
Si può infine osservare come vi sia un diverso tipo di libertà di informazione e dissenso: negli Stati Uniti le informazioni circolano liberamente, e i pacifisti hanno sempre potuto manifestare liberamente, nella Russia neo-sovietica di Putin chi osa anche solo fiatare rischia il carcere e ai mezzi di informazione è imposto un pesante bavaglio. Che non ha molto da invidiare alla censura vigente nell'URSS.
4. “così han sempre fatto tutti”
Chi sostiene Putin sostiene che da che mondo è mondo i confini degli Stati sono cambiati, e uno Stato si è appropriato di un pezzo di un altro Stato o lo ha addirittura ingoiato. La stessa Italia unita è nata così: sottraendo territori all'Austria, al Papa e al Re delle Due Sicilie. Con la guerra. Analogamente la Francia ha sottratto con la guerra territori al Sacro Romano Impero. E nessuno se ne stracciava le vesti. Questo demolirebbe la tesi che l'attuale invasione sia qualcosa di imperdonabile, cioè eticamente inammissibile e giuridicamente gravemente lesivo del diritto internazionale.
Oltre a quanto appena sopra già detto, si può rispondere con due argomenti:
- anzitutto negli esempi fatti, quanto in essi vi è di perdonabile (=eticamente ammissibile) è dovuto al fatto che si trattava di cambiamenti in cui era in gioco una questione nazionale (etnico-culturale), l'identità negata di una nazione. Nel caso dell'invasione russa invece è in gioco una questione di visione-del-mondo: totalitarismo contro democrazia. Senza contare che nelle guerre di indipendenza italiana vi era un piccolo Stato (più) democratico (il Piemonte) che affrontava un Impero non democratico (l'Austria). Dunque con ben più diritto di un grande Stato animato da un ideale di imperialismo totalitario che aggredisce un piccolo Stato democratico: la situazione è capovolta.
- Ma non è solo questo: la storia va avanti ed è inaccettabile che nel XXI secolo si risolvano eventuali problemi con invasioni. Non siamo nell'età della pietra, siamo oggi un po' più lontani dall'età della pietra di quanto non si fosse nel XVII o nel XIX secolo. I problemi vanno risolti non con le invasioni e il bombardamento dei civili, le torture, le uccisioni in massa di civili e la deportazione in massa di civili, ma con la diplomazia e il dialogo.
Il punto deve essere questo: nel XXI secolo non sono ammissibili cambiamenti dei confini degli Stati in seguito a delle guerre. Cambiamenti di confini tra Stati, nella storia ce ne sono sempre stati e verosimilmente sempre ce ne saranno. Ma il progresso della consapevolezza del diritto deve portare a rifiutare cambiamenti di confini che siano frutto di guerra.
Esempi di come si possono e devono cambiare i confini in modo pacifico: la dissoluzione della Cecoslovacchia in Cechia e Slovacchia. Pacificamente e consensualmente. Così la dissoluzione dell'Unione Sovietica in tanti Stati indipendenti: consensualmente (fino a un certo punto, almeno) e senza spargimento di sangue.
Esempi di come non devono cambiare i confini: la dissoluzione della Yugoslavia, con la lotta cruenta tra serbi e croati, e soprattutto lo strappo del Kossovo dalla Serbia. Oppure l'invasione irachena del Kuwait. O lo strappo del 20% del territorio georgiano da parte russa.
5. Un timore atavico, oggi ingiustificato
Una mia amica mi ha fatto presente che nell'anima russa è radicato, più o meno inconsciamente, un timore atavico, quello di essere una nazione particolarmente esposta a minacce di invasione, e ciò per il fatto di essere da un lato priva di difese “naturali” contro l'esterno, come il mare o le montagne, e dall'altro, più ancora, di essere al confine con quell'Asia centrale dalla quale in passato potevano partire micidiali ondate di “popoli della steppa”, come i mongoli, portatori di una cultura radicalmente diversa da quella russa e di notevole violenza distruttrice .
In quest'ultimo senso la Russia aveva qualche diritto di sentirsi un baluardo dell'Europa cristiana contro orde barbariche che premevano da Oriente.
Peccato però che tale autocoscienza, unitasi al fatto di sentirsi la Terza Roma, il centro della vera cristianità, abbia alimentato sia una ideologia imperiale, che la faceva sentire autorizzata a dominare gli altri popoli, sia una concezione (e una prassi) cesaropapista, dove il potere spirituale era asservito a quello politico e il cristianesimo diventava pericolosamente religione civile, perdendo il suo carattere soprannaturale e universale.
Ma questo timore atavico di essere invasi e l'idea che solo come impero vasto e forte si possa resistere alle “orde barbariche della steppa”, per quanto radicato in generazioni e generazioni di russi, oggi non ha più alcuna realistica ragion d'essere.
Se l'attuale oligarchia fa leva su di esso, è solo per una operazione di potere.
La vera motivazione: il timore del contagio democratico
La Russia post-comunista non è mai diventata un paese realmente democratico. Dopo qualche timido tentativo iniziale verso la democrazia, la Russia ha virato energicamente verso un regime sostanzialmente dittatoriale. Putin è un ex-KGB, abituato a pensare in termini esasperatamente schmittiani di amico/nemico, e ha dimostrato il più totale disprezzo per le regole costituzionali che la stessa Russia post-comunista si era data, facendosi rieleggere più e più volte, in barba a tali regole. Inoltre l'oligarchia di ultra-ricchi, a cui egli è organico e funzionale, è in gran parte formata da ex-dirigenti comunisti riciclatisi (come lo è Putin).
Che la Russia sia ben lontana dall’essere un paese democratico lo dimostrano fatti eclatanti come l'avvelenamento del principale oppositore dell’autocrate, Aleksej Navalny, il suo arbitrario arresto, che dice di un cinismo e di una prepotenza sfacciati e la sua spudorata uccisione in carcere. È gravemente violato, come in tutte le dittature che si rispettino, il principio di indipendenza della magistratura dal potere politico se accade, come è accaduto con Navalny, che giudici compiacenti usino le motivazioni più assurde e pretestuose per mettere a tacere, in galera, l'unico serio oppositore del tiranno. Ma di fatti se ne potrebbero aggiungere a iosa: basta legger quanto scriveva, già qualche anno fa, Anna Politkovskaja, ne La Russia di Putin: non a caso venne poi uccisa (e non occorre molta fantasia a immaginare da chi). Del resto in occasione dell'invasione dell'Ucraina l'attuale regime che governa la Russia ha rivelato una volontà di spietata e brutale repressione del benché minimo dissenso. Cosa che non è da Stato costituzionale democratico. Per non parlare di come viene condotta la guerra: con bombardamenti su obiettivi civili, deportazioni di civili in massa (decine di migliaia di ucraini sono stati deportati in Russia), torture di civili, ed esecuzioni di civili in massa con fosse comuni (alcune delle quali attestate dal segretario generale dell'ONU, quando visitò Bucha): insomma siamo in presenza di comportamenti incompatibili con uno stato di diritto. Veri e propri crimini di guerra. Incompatibili con uno Stato democratico.
Del resto anche l’alleato bielorusso di Putin, Lukašėnko,che fa dirottare un aereo occidentale per sbattere in galera un suo oppositore, dice di una spregiudicatezza che nulla ha a che vedere con la democrazia e il rispetto dei diritti umani.
Non può, infine, essere un caso che tutti gli alleati di Putin oggi siano paesi totalitari, come la Cina popolare, la Corea del Nord, l'Iran, o brutalmente dittatoriali come il regime golpista birmano: cioè: “è facilissimo che i simili si associno ai loro simili”similia cum similibus facillime congregantur.
Quindi la vera motivazione è quella, sopra accennata, del contagio democratico.
Durante la Guerra Fredda era chiaro a tutti che lo scontro in atto era all'ultimo sangue. La “distensione” e i buoni rapporti diplomatici non potevano essere che una tregua, non un assetto definitivo: il mondo democratico non poteva non mirare alla totale estirpazione del comunismo “dalla faccia della Terra”, dato che i paesi comunisti, al seguito di Karl Marx, che ne era il riconosciuto ispiratore, non potevano non mirare a estendere il comunismo su tutta “la faccia della Terra”.
Ora assistiamo a qualcosa del genere: l'esistenza di paesi democratici è un rischio mortale per le autocrazie, che non possono che temerne il contagio. Un rischio questo che può essere estirpato solo estinguendo ovunque la democrazia, o almeno rendendo i paesi, che ancora volessero restare democratici, succubi delle tirannidi.
Lo stalinismo è davvero finito in Russia?
Che la Russia di Putin non sia una democrazia, ma un regime con tratti sempre più marcati di totalitarismo, lo possiamo vedere confermato dal fatto che un autore come Aleksandr Solženicyn, uno dei più importanti dissidenti russi, ha denunciato con viva preoccupazione il fatto che la Russia non ha mai fatto i conti col suo passato totalitario, non lo ha mai davvero rinnegato. In Arcipelago Gulag egli insisteva sul fatto che a differenza della Germania, che dopo la caduta del nazismo aveva avviato un reale processo di de-nazificazione, processando in modo limpido e completo i responsabili dei crimini nazisti, nella Russia post-staliniana non fosse avvenuto alcuna reale condanna dei crimini staliniani.
E questo è durato fino ad oggi, con molti in Russia che esaltano Stalin e si rifiutano di riconoscerne i crimini. Il sito Oasis riporta un interessante brano di Solženicyn, che vale la pena leggere per intero, e di cui do qui solo un veloce assaggio.
Nella Germania Occidentale fino al 1966 sono stati condannati ottantaseimila criminali nazisti, e noi gongoliamo, non risparmiamo pagine di quotidiani e ore di radio, ci fermiamo ai comizi anche dopo il lavoro e votiamo: non basta! Neppure ottantaseimila bastano! e sono pochi vent’anni di processi, bisogna continuare!
Da noi invece (secondo quanto è stato pubblicato) sono state condannate circa trenta persone.(...)
Perché alla Germania è dato di punire i suoi malvagi e alla Russia no? Quale funesta via percorreremo se non ci sarà dato di purificarci della sozzura che marcisce dentro il nostro corpo? Che cosa potrà insegnare al mondo la Russia? (...)
il fatto che gli assassini dei nostri mariti e dei nostri padri viaggino per le nostre vie e noi lasciamo loro la strada, questo no, non ci tocca, non ci preoccupa, è “rivangare il passato”. (...)
Tacendo sul vizio, ricacciandolo nel corpo perché non si riaffacci, noi lo seminiamo, e in futuro germinerà moltiplicato per mille. Non punendo, non biasimando neppure i malvagi, non ci limitiamo a proteggere la loro sterile vecchiaia, ma strappiamo dalle nuove generazioni ogni fondamento di giustizia. (...)
I giovani imparano che la bassezza non viene mai punita sulla terra, anzi porta sempre il benessere. Non sarà accogliente un tale paese, farà paura viverci!
Sul fatto che la Russia di Putin sia ancora sostanzialmente sovietica, si vede sotto, dove parlo del nuovo patto Molotov-Ribbentrop.
Perché questa invasione è un male
da un punto di vista formale
E’ male dal punto di vista del diritto internazionale, che soprattutto dopo la 2a guerra mondiale si era affermato, secondo cui non si modificano i confini, internazionalmente riconosciuti, in seguito a una guerra. Li si possono modificare solo in modo pacifico. La stessa Unione sovietica si era attenuta a questo principio: invade sì Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968), e poi l’Afghanistan (1979), ma senza annettersi un solo centimetro quadrato di tali Stati. Ora invece accade che uno Stato faccia guerra a un altro Stato pretendendo di annettersene almeno una parte (se non di fagocitarlo tutto). Ora, questo è male. Perché? Perché se passa questo principio, che uno Stato si può annettere un (pezzo di un) altro Stato con la guerra, viene meno una regola basilare di diritto internazionale che invece ha garantito e potrebbe ancora garantire la pace tra gli Stati. I rapporti internazionali a quel punto non sarebbero più, nemmeno tentativamente, regolati dal diritto, ma solo dalla forza. E a quel punto l’unica legge sarebbe quella della giungla, per cui il più forte mangia il più debole.
una obiezione
Un amico mi ha obiettato che il caso della Cisgiordania occupata da Israele rappresenterebbe un esempio di modifica di confini internazionalmente riconosciuti, con beneplacito dell’Occidente.
Al che io ho risposto che «il caso Cisgiordania non pare paragonabile al caso Ucraina: 1) intanto perché Israele occupa la Cisgiordania in risposta a una aggressione che aveva subito da parte di Stati che lo volevano nientemeno che distruggere (mentre Putin invade l’Ucraina senza che quest’ultima avesse tentato di invadere e distruggere la Russia);
2) in secondo luogo Israele non ha mai detto di volersi annettere la Cisgiordania (come invece ha fatto Putin con le regioni ucraine occupate): si tratta di territori dallo status giuridico ancora da definire, e per definirlo occorre che ci sia una controparte disposta a riconoscere il diritto di Israele a esistere. All’Egitto, che ha riconosciuto tale diritto, Israele ha restituito per intero il Sinai. E l’unica controparte a cui Israele potrebbe restituire la Cisgiordania è l’autorità nazionale palestinese, quando questa si deciderà a riconoscere il diritto di Israele a esistere.»
da un punto di vista concreto-contenutistico
Ma c’è di più. C’è il fatto, sostanziale e concreto, che nulla lascia pensare che la Russia putiniana si fermerebbe dopo essersi presa un pezzo di Ucraina. Anzitutto con la Russia stanno altre potenze autocratiche (o meglio dittatoriali): la Cina, la Corea del Nord, l’Iran. Un vero e proprio asse, chiamiamolo asse delle autocrazie. Ora, chiediamoci: questo asse è interessato solo a indebolire un pochino l’Occidente (“dai, fai un po’ di spazio anche noi, per favore”), con cui poi convivere felici e contenti, per sempre, pacificamente? O è intenzionato, in ultima analisi, a distruggere le democrazie?
1) Per rispondere a questa domanda si considerino anzitutto dei dati empirici: perché la Svezia e la Finlandia hanno chiesto proprio adesso (dopo l’inizio dell’invasione putiniana) di entrare nella NATO? Perché tali nazioni non avevano sentito il bisogno dello scudo protettivo della NATO quando c’era l’Unione Sovietica (la Finlandia non poteva chiedere di aderire alla NATO, d’accordo, ma la Svezia sì), e invece tale bisogno lo sentono adesso? E’ compatibile tale pressante richiesta con la percezione di una Russia ragionevole e pacifica che si limita a chiedere (come se già fosse poco, ma ammettiamo che lo sia) un pezzettino di Ucraina? E perché Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia sono allarmatissime per un possibile attacco russo e si muovono per contrastarlo? Questo depone a favore della percezione di un Putin ragionevole e pacifico? Ed è pensabile che i paesi vicini alla Russia siano prede di una ingiustificata isteria? O è più facile che siamo noi, più lontani e meno conoscitori di che cosa può fare la Russia, a crogiolarci in consolanti illusioni?
E poi: gli alleati della Russia sono ragionevoli e pacifici? E’ ragionevole il dittatore della Corea del Nord, che pensa solo a fabbricare missili (e poi a sperimentarne la gittata e l’efficacia)? E’ ragionevole e pacifica la Cina comunista, che, un giorno sì e l’altro pure, minaccia Taiwan, la sorvola con aerei militari e la circonda con navi da guerra? E’ ragionevole l’Iran, che manda a morte una decina di oppositori politici al giorno, ammazza le donne che portano “male” il velo e da anni sta portando avanti un programma nucleare? Non siamo forse davanti a un asse di potenze aggressive e minacciose, accumunate dall’odio contro la democrazia?
2) Ma andiamo oltre il dato empirico in direzione di una sua interpretazione. Perché i paesi autocratici dovrebbero volersi espandere a tutto il mondo e non se ne starebbero buoni buoni nei loro confini?
Già Kant osservava che i regimi non democratici sono intrinsecamente guerrafondai, perché non devono rispondere a una opinione pubblica libera, e dal cui consenso dipendano. Ma c’è anche un dato storico: è già accaduto che un insieme di paesi autocratici, quelli comunisti, mirasse (e attivamente) a espandersi a tutto il mondo. La coesistenza pacifica con l’Occidente era solo una tregua. Ora non c’è più il comunismo (vero e proprio) ma l’attuale Russia è in mano agli eredi della nomenklatura comunista, e la Cina e la Corea del Nord sono, anche formalmente, dei regimi politicamente comunisti. Non c’è più l’ideale egualitario. Resta però il dominio di una oligarchia, dispotica, ricchissima e corrotta, sul resto della popolazione. Ora, i regimi autocratici sono inevitabilmente spinti a voler dominare il mondo, se non altro perché, finché esisteranno paesi democratici, il loro potere sarà insidiato dal confronto, che i loro cittadini potranno fare con tali paesi, con la libertà da essi concessa, e col benessere in essi più diffuso. Le democrazie sono una pietra di paragone potenzialmente letale per le dittature. Un pericolo costante e mortale. Anche senza che muovano un dito contro di loro, ma per il solo fatto di esistere. E di funzionare bene. Per questo è del tutto plausibile che l’obbiettivo di eliminarle del tutto sia ancora più forte dell’interesse economico a commerciare con loro.
Quindi ci sono delle ottime ragioni che rendono plausibile che l’Ucraina, se Putin vincesse, sarebbe solo un primo passo verso il dominio del mondo da parte dell’asse delle autocrazie. Lo dimostra anche il fatto che l’attuale guerra non ha un carattere essenzialmente etnico-linguistico (anche se, malauguratamente, il governo ucraino, probabilmente per immaturità democratica, è un po’ caduto nella trappola di un non rispetto dell’identità linguistico-culturale dei russofoni): sono infatti molti i russi ad augurarsi che l’Ucraina la spunti. Perché così Putin cadrebbe. E potrebbe aprirsi una stagione di libertà anche in Russia. Del resto non mancano russi che combattono proprio, a fianco degli ucraini. Il punto infatti non è etnico, ma ideologico.
Senza contare che l’insidiosità del progetto delle autocrazie è accresciuta non solo per la loro abilissima politica di penetrazione economica (ma talora anche politico-militare) in diversi paesi africani, asiatici e in parte latino-americani; ma è tale da essersi abilmente costruita un potente cavallo di Troia negli stessi paesi democratici, facendo leva sui sentimenti anti-mondialisti e anti-democratici di una parte della loro popolazione, spaventata dalla prospettiva di una cancellazione delle (rassicuranti) identità nazionali. Così la Russia putiniana ha generosamente finanziato tutte le forze politiche e culturali che possono dividere, e quindi indebolire, l’Europa e l’Occidente. Presentandosi abilmente come il paladino della tradizione, lui che pure è un agente del KGB, della tradizione quindi nemico mortale, e come paladino del sovranismo e del multipolarismo, lui che concepisce il potere nel modo più accentrato che si possa immaginare (basti pensare a come ha trattato la Cecenia). C’è rispetto per le identità locali nella Russia putiniana? E ce n’è, nella Cina comunista, sua alleata? Il modo con cui sono stati trattati il Tibet e il SingKiang risponde a una logica di “multipolarismo” interno? L’asse delle autocrazie appare favorevole al multipolarismo solo in modo strumentale e propagandistico, quindi solo finché gli fa comodo, per dividere il nemico. Ma il mondo che le dittature sognano è tutto fuorché multipolare e pluri-identitario.
Qualcuno dirà: va bene, vero, e allora? Perché le autocrazie non dovrebbero essere meglio delle democrazie?
a) Non si vuole dire che i paesi democratici siano il Bene assoluto, e l’asse delle autocrazie sia il Male assoluto. Però i paesi democratici garantiscono una libertà e un rispetto del diritto che l’asse delle autocrazie non si sogna nemmeno. E la libertà e il diritto rispondono meglio alle esigenze iscritte nella nostra umanità che non una sottomissione cieca a un despota.
b) Inoltre, da un punto di vista teologico, la democrazia è il sistema che più rispecchia la “politica di Dio”, che non costringe gli esseri umani a credere e a obbedirgli. Non si impone, ma si propone.
c) Infine un regime dispotico appare inevitabilmente legato all’idea che un essere umano (o un ristretto gruppo di esseri umani) si arroghi dei poteri divini. Come se solo loro capissero tutto e potessero tutto (attribuendo a sé una infallibilità che è superbia, diabolica superbia, non consapevole del limite creaturale).
Segue in altra pagina su quale linea dovrebbe tenere l'Occidente davanti all'aggressione russa.
Aggiornamenti
In questa pagina non ci sono aggiornamenti di tipo giornalistico, ma dati e riflessioni relative a ciò che in qualche modo rimane. Per aggiornamenti quotidiani sono molto equilibrate le posizioni di Avvenire e de La Nuova Europa. Ad esempio eccellente è questo editoriale di Adriano Dall'Asta.
📚 Bibliografia essenziale
- AA.VV., La morte della terra. La grande "carestia" in Ucraina nel 1932-33, Roma 2012().
- Francesco Battistini, Fronte Ucraina . Dentro la guerra che minaccia l’Europa, Vicenza 2022().
- Simone Attilio Bellezza, Identità ucraina. Storia del movimento nazionale dal 1800 a oggi, Roma-Bari 2024().
- Francesco Bertoldi, Democrazia è meglio, Milano 2023().
- Franco Cardini & Fabio Mini, Ucraina. La Guerra e la Storia, Roma 2022().
- Adriano Dell'Asta, La pace russa, Roma 2023().
- Nicolai Lilin, La guerra e l’odio. Le radici profonde del conflitto tra Russia e Ucraina, Casale Monferrato 2023().
- Maurizio Molinari, Il ritorno degli imperi. Come la guerra in Ucraina ha sconvolto l'ordine globale, Milano 2022().
- Edgar Morin, De guerre en guerre. De 1940 à l'Ukraine, La Tour d’Aigues 2023, tr.it. Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa, Raffaello Cortina, Milano 2023 ().
- Alexei Navalny, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Roma 2024().
- Vittorio Emanuele Parsi, Titanic. Il naufragio dell'ordine liberale, Bologna 2018().
- Vittorio Emanuele Parsi, Il posto della guerra. e il costo della libertà, Milano 2022().
- Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Milano 2022().
- Reich Robert Bernard, Supercapitalism. The Transformation of Business, Democracy, and Everyday Life, New York 2007, tr.it. Supercapitalismo. Come cambia l'economia globale e i rischi per la democrazia, Fazi, Roma 2008 ().
- Sergio Romano, Morire di democrazia. Tra derive autoritarie e populismo, Milano 2013().
- Sergio Romano, La scommessa di Putin, Milano 2022().
- Giulio Sapelli, Ucraina anno zero. Una guerra tra due mondi, Milano 2022().
Ottimo è il libro di Parsi, Il posto della guerra, qui sopra listato.
🔗 Pagine correlate
Imperdibili
- l'intervista alla Zafesova (30 settembre 2022), buona conoscitrice della politica interna russa, tra l'altro sulla possibile caduta di Putin.
- l'articolo di Paolo Musso (26 settembre 2022), dove si fa il punto della situazione, da un punto di vista politico-militare.
- Il giudizio di Cl sulla guerra (novembre 2022): condanna dell'aggressione e al tempo stesso ricerca di dialogo.
- Intervista a mons. Gudziak, arcivescovo ucraino.
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Interessanti
- Sul concetto di nuovo patto Molotov-Ribbentropp, si veda questa pagina sulla realtà della democrazia.
- Una pacata ma implacabilmente lucida risposta a chi si arrampica sugli specchi.
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