globalizzazione: né cinismo, né utopia

né cinismo...

È l'impostazione di chi si rassegna all'ingiustizia, sostenendone l'inevitabilità. La grave diseguaglianza economica tra i ricchissimi e i poverissimi (nel rapporto Nord/Sud) o l'arretramento del welfare state per le classi lavoratrici nei paesi europei (nel rapporti tra vecchi e nuovi ricchi), per questa linea, non farebbe problema. Dobbiamo solo cercare di stare dalla parte giusta, quella dei forti, dei vincenti, il resto dell'umanità si arrangi: sono problemi suoi se non ha da mangiare e da abitare decorosamente, o se comunque deve rinuciare a importanti diritti acquisiti (il welfare come l'abbiamo conosciuto dal secondo dopoguerra).

Questa impostazione, tipica di un capitalismo “puro”, di un conservatorismo “non compassionevole”, va contro la fede cristiana, negando due elementi essenziali:

...né utopismo

Se il cinismo non fa i conti con la potenza del soprannaturale, l'utopismo non li fa con la realtà del peccato originale, con quella che potremmo chiamare la potenza del male.

L'utopista pretende la perfezione, e la pretende dalle sole forze della volontà umana: manca di realismo.

In particolare è irrealistico pretendere che gli esseri umani rinuncino alla ricerca del benessere (individuale), perché questa costituisce una spinta naturale potente e ineliminabile. L'uomo non agisce per il dovere (deontologicamente, o meglio rigoristicamente), ma per la ricerca della felicità (teleologicamente, eudemonisticamente).

decrescita felice?

Per l'utopismo il problema non è diventare tutti più ricchi, portando sempre più i paesi poveri al benessere, ma diventare tutti più poveri, livellando il Nord ricco a stili di vita simili a quelli del Sud povero.

Ora, è vero che gran parte della popolazione del Nord ricco adotta stili di vita sfrenatamente consumistici, privilegiando come è stato detto l'avere sull'essere, e mettendo a repentaglio l'ecosistema. Però non si può proporre una decrescita felice, come fa il M5S, con molti ecologisti e no-global: bisogna guidare la crescita, dentro un alveo di armonia con la natura e di equità tra esseri umani, rendere la crescita più giusta e armoniosa, non azzerare, eliminare la crescita o innsecare una decrescita.

L'uomo infatti non può non desiderare di star meglio, e sempre meglio. Occorre che star meglio avvenga nel modo giusto.

realismo!

Partire da ciò che c'è, dal reale: è reale la condizione empiricamente constatabile e sono reali le energie che ci sono per migliorarla (energie che il cristiano sa essere ultimamente radicate nella grazia soprannaturale, che del resto raggiunge e lievita l'umanità anche di chi non fa parte visibilmente del Corpo di Cristo).

In dettaglio: abbiamo detto come il libero mercato in sé sia essenzialmente buono, ma vada governato.

tutele “contro” i più (slealmente) agguerriti

Abbiamo già fatto un esempio di tale governo: chiedere a tutti i paesi che hanno accesso al mercato libero mondiale che salvaguardino al loro interno

Certo, non è facile: la Cina ad esempio, ha enormi crediti nei confronti degli Stati Uniti. Occorrono coraggio e saggezza: non si può pretendere tutto subito, ma fare pressioni per una progressiva evoluzione, facendo leva sulla stessa opinione pubblica cinese, che va incoraggiata a formarsi e ad esprimersi in una sempre maggior trasparenza.

tutele verso i più indifesi

Un altro esempio potrebbe essere quello di accettare di graduare l'ingresso nel libero mercato mondiale di quei paesi dall'economia ancora debole, per non esporre oltre un certo limite la loro popolazione, specie nelle fasce sociali più deboli, a uno sfruttamento selvaggio.

Certo, certe posizioni no-global riguardo al lavoro sottopagato nei paesi poveri rischiano l'utopismo: è infatti meglio venir pagati 2 $ al giorno (tanto più in un contesto in cui la vita costa pochissimo) che non venir pagati affatto, essendo senza lavoro. Si può vedere in proposito quando diceva una rivista missionaria, Mondo e missione, sul tema dei salari minimi.