Shoah, come ci si arrivò

Il libro di Christopher Browning, The Origins of the Final Solution , le origini della soluzione finale, mette a fuoco la politica nazista durante i cruciali due anni e mezzo che trascorrono tra l'invasione tedesca della Polonia, avvenuta all'inizio del settembre del 1939, e il marzo del 1942, quando le numerose stragi naziste, già chiaramente orientate al genocidio, sfociarono in un programma coordinato di sterminio: la soluzione finale. L'invasione della Polonia segnò una cesura nella politica antiebraica nazista. Prima del 1939 questa era rivolta a cercare di scacciare gli ebrei dalla Germania. Ma, nonostante le dure persecuzioni, allo scoppio della guerra nel Reich c'erano ancora molti ebrei. E con la conquista della Polonia altri due milioni e più di ebrei polacchi caddero sotto il giogo nazista. Si dovette trovare una nuova «soluzione della questione ebraica», e in un territorio conquistato, dove i tedeschi governavano con terrore incontrastato e gli ebrei erano considerati gli ultimi degli ultimi, ancora peggio della disprezzata e sottomessa popolazione polacca. Dapprima si pensò a una soluzione che comportasse l'espulsione in una grande riserva nella Polonia orientale. I responsabili tedeschi delle parti della Polonia che dovevano essere incorporate nel Reich volevano liberarsi degli ebrei delle loro province il più rapidamente possibile per far posto agli emigrati di etnia tedesca che si trasferivano in quelle aree dai Paesi baltici e da altre parti dell’Europa dell'Est. Browning dimostra con precisione minuziosa il fallimento dei piani di espulsione: fa vedere come quella visione nazista non potesse essere messa in atto, e come i piani successivi di deportazione di un gran numero di ebrei, attuati con immensa brutalità, si imbattessero in insuperabili difficoltà logistiche, causate dai nazisti stessi. Nella primavera del 1940, tuttavia, a seguito delle eclatanti vittorie in Europa occidentale, ai leader nazisti della Polonia occupata, preoccupati dai problemi della deportazione e del reinsediamento che non riuscivano a risolvere, si aprì momentaneamente una nuova prospettiva: espellere gli ebrei oltreoceano, in Madagascar. Browning dimostra con chiarezza la serietà con cui gli organizzatori delle SS portarono avanti il progetto del Madagascar nell'estate del 1940, finché non fu evidente che, non riuscendo a ottenere il controllo dei mari, la deportazione in un'isola lontana non aveva a lcuna possibilità di successo. All'inizio del 1941, tuttavia, si presentò una nuova occasione. Si confidava che l'attacco al grande avversario ideologico, l’Unione Sovietica, avrebbe non solo comportato la distruzione del «bolscevismo giudaico», ma anche, dopo una campagna breve e vittoriosa, offerto la possibilità di deportare gli ebrei «nell'Est».

Nel frattempo, a causa dei problemi della politica di espulsione, in Polonia erano sorti i ghetti. All'inizio erano considerati semplicemente strutture temporanee per isolare gli ebrei prima della deportazione definitiva. Ma, poiché le deportazioni erano a un punto morto, i ghetti, in particolare quelli di Lodz e di Varsavia, assunsero una precaria esistenza istituzionale e una ragion d’essere economica. Browning esamina in grande profondità i conflitti tra coloro che volevano mantenere i ghetti per poter sfruttare al massimo gli ebrei economicamente e coloro (che poi prevalsero) che premevano per la soppressione dei ghetti al più presto possibile e l'eliminazione o la deportazione dei loro abitanti.

Dopo un breve esame della persecuzione degli ebrei in Germania fino alla fine del 1940 e dell'influenza tedesca sulle politiche antiebraiche negli altri Paesi europei che erano entrati nell'orbita del Reich, il libro arriva ai capitoli centrali, che mostrano come la soluzione del genocidio per la «questione ebraica» sia emersa nel contesto della guerra di distruzione lanciata contro l'Unione Sovietica il 22 giugno 1941.

Un bel capitolo del collaboratore di Browning, Jürgen Matthäus, esamina minuziosamente l' escalation delle stragi in Unione Sovietica, dai primi eccidi rivolti a un numero limitato di obiettivi mirati, alle stragi che non risparmiavano né donne né bambini tra la fine di luglio e la metà di agosto del 1941, quando in Russia si scatenò un vero e proprio genocidio. Ma quando l'avanzata militare tedesca subì un rallentamento e poi un arresto, la prospettiva di espellere gli ebrei nei territori conquistati dell'Unione Sovietica divenne poco realistica; e ciò dopo che Hitler, nel settembre del 1941, aveva ordinato la deportazione degli ebrei del Reich nell'Est, da attuarsi dopo la vittoria. A quel punto, come dice Browning, «l'assassinio era nell'aria», e non solo in Unione Sovietica. In un crescente clima omicida, con tutti gli uffici amministrativi, soprattutto quelli della Polonia occupata, che premevano perché gli ebrei venissero allontanati, ma senza che vi fosse un luogo in cui deportarli, si fece avanti l'idea di impiegare il gas per sterminarli, una tecnica già sperimentata sulle vittime dell'«eutanasia» in Germania, e poi usata nell'Est con l'intenzione di rendere l'orribile compito degli assassini meno traumatico. Il libro si conclude con l'inizio dello sterminio nelle camere a gas di Chelmno, Belzec e Auschwitz-Birkenau, tra il dicembre del 1941 e il marzo del 1942.

La forza del libro risiede nella ricerca meticolosa e scrupolosa, svolta nell'arco di parecchi anni in archivi sparsi un po' dappertutto, e che dimostra con chiarezza che la soluzione finale emerse non come il culmine di un progetto a lungo termine, una visione concepita da Hitler molti anni prima e poi messa debitamente in pratica, ma dall'incapacità nazista di realizzare il sogno utopico di un'Europa senza ebrei attraverso l'espulsione e la deportazione. Naturalmente senza l'impegno ideologico, incarnato da Hitler, di liberare la Germania, e successivamente l'Europa, dagli ebrei, la propensione al genocidio non sarebbe sorta. E i diversi progetti di espulsione avanzati dopo il 1939 davano tutti per scontata, dapprima implicitamente e poi sempre pi esplicitamente, la «scomparsa» finale degli ebrei. Il genocidio era implicitamente presupposto da questi piani. Gli ebrei sarebbero morti, alla fine, o per troppo lavoro, o per le privazioni o perché esposti alle inclemenze del clima (in Madagascar e successivamente in Russia). Sarebbe stata una «soluzione finale» di natura diversa da quella che poi emerse. L'effettiva soluzione finale registrata dalla storia venne attuata perché i nazisti non riuscirono a distruggere gli ebrei nei modi che avevano immaginato.

Se queste conclusioni appaiono meno nuove o impressionanti di quanto sarebbero sembrate venti anni fa, lo si deve ai grandi passi avanti fatti dalla ricerca nell'arco di questo ventennio, a cui Browning ha dato un contributo importante, e alle molte pubblicazioni precedenti di questo studioso, che hanno offerto un'anteprima della sua interpretazione e ampi squarci sulle sue scoperte, anche se non con la profondità di questo libro. L'interpretazione di Browning, infatti, è cambiata assai poco dai primi scritti di molti anni fa. In linea generale è convincente, ma ci sono due punti su cui il libro non è ancora, forse, definitivo: il ruolo di Hitler e il momento preciso in cui ebbe luogo la transizione dal genocidio nell'Est a una politica orientata all'eliminazione fisica degli ebrei in tutta Europa.

Complessivamente il libro è assai efficace nel mostrare la relazione tra le direttive generali del centro e il raggio dell'iniziativa e le varie forme di attuazione della «periferia». Il ruolo di Hitler però, anche in questo caso, non è del tutto chiarito. La sua responsabilità, il fatto che sia stato a conoscenza, abbia approvato e autorizzato i passi decisivi della politica antiebraica sono indubbi. È lui che ha incarnato quelle idee; che ha dato il tono e il via libera. Ma è difficile valutare fino a che punto sia stato lui a dare inizio ai passi chiave di quella politica, o abbia, invece, risposto a sollecitazioni altrui, in particolare da parte dei leader delle SS. Le fonti non sono abbastanza chiare per poterlo accertare. Così il verdetto di Browning che Hitler fosse «un attivo e continuo partecipe del processo decisionale» nel periodo di cui il libro si occupa potrebbe essere soggetto a qualche precisazione, come hanno sostenuto parecchi altri storici.

Un problema particolare è sollevato dal legame che Browning stabilisce tra il cambiamento di politica nell'estate del 1941, da cui derivò l’estensione della soluzione finale a tutta l’Europa, e l'euforia di Hitler dovuta agli iniziali successi tedeschi nella campagna in Russia. Browning in questo caso si basa in larga misura su supposizioni, mettendo insieme a eventi militari e umori di Hitler una serie di prove incomplete e a volte svianti su sviluppi complessi della politica nei confronti degli ebrei. Altri, osservando gli stessi documenti, hanno associato le decisioni chiave non all'euforia della vittoria ma all'accorgersi, nel corso di quell'anno, che la continuazione della guerra in un futuro indefinito escludeva tutte le possibilità di deportare gli ebrei verso uno sterminio di natura diversa, nelle lande artiche della Russia.

Probabilmente queste discussioni, che si basano su sfumature nell'interpretazione di documenti oscuri e incompleti, non troveranno mai soluzione. Ma che su questo punto l'interpretazione di Browning non soddisfi tutti non toglie nulla all’eccellente qualità del suo libro. È profondamente deprimente leggere, pagina dopo pagina, le testimonianze riportate con spietata precisione di una inumanità tanto grande da non essere credibile, se non fosse realmente esistita. Browning evita di esprimere condanne morali. Non sono necessarie. La sua descrizione fredda e oggettiva di quegli orrendi eventi è interrotta solo occasionalmente da espressioni che gettano una luce fuggevole sui suoi sentimenti. Questo è il lavoro di un grande storico, uno studio magistrale, un'analisi profonda di come abbia potuto realizzarsi il capitolo più oscuro della storia umana.