una foto del neotomista Garrigou-Lagrange

Il neo-tomismo

una flessione razionalistico-naturalistica di Tommaso

il termine

Va anzitutto chiarito in che senso si usa qui il termine “neotomismo”, che in effetti si può intendere in diversi modi.

c'è tomismo e tomismo

Questa precisazione è importante perché ci sono stati pensatori tomisti, ma non neotomisti (nel senso stretto appena precisato): pensiamo a Jacques Maritain, a Étienne Gilson, ad Amato Masnovo, a Sofia Vanni Rovighi, a Pierre Rousselot, o allo stesso Antonin-Dalmace Sertillanges (in età pre-rivoluzionaria si può pensare a Giovanni di San Tommaso).

Il loro atteggiamento verso la modernità non è stato caratterizzato da quella chiusura intransigente e un po' ottusa che ha invece contraddistinto pensatori neotomisti come Joseph De Tonquédec, Réginald Garrigou-Lagrange, o Charles Boyer, o con una modalità comunque mitigata rispetto ai precedenti pensatori, francesiin qualche modo Cornelio Fabro (in età pre-rivoluzionaria un precursore potrebbe essere visto nel Tommaso de Vio, detto, appunto, per la sua origine geografica, il Gaetano, o CaietanusGaetano).

Va anche detto che agli antipodi di questo tipo di tomismo “chiuso” esiste una terza impostazione di pensatori che pretendono di rifarsi a Tommaso, ma “aprono” un po' troppo, per così dire, alla modernità; si spingono cioè in direzione di una apertura alla modernità che rischia di compromettere il realismo gnoseologico: qualcosa del genere accade a Joseph Maréchal, con la sua valorizzazione di Kant e il suo tentativo di costruire un “tomismo trascendentale”. O accade anche a Désiré-Joseph Mercier, lui pure inoltratosi alla ricerca di una valorizzazione di autori come Cartesio e Kant.

i tratti caratterizzanti del neotomismo

Ci riferiamo, ribadiamolo, al neotomismo nel “senso stretto” sopra precisato. Le tesi fondamentali, che accomunano, sia pure con diverse accentuazioni e sfumature, i pensatori neotomisti si potrebbero riassumere così:

  1. dal punto di vista teologico si ha un dualismo, una spiccata tendenza a dividere ambito naturale e ambito soprannaturale, e a fare del primo una realtà tendenzialmente autosufficiente. In termini più tecnici si tratta dell'idea di natura pura: ossia il desiderio dell'uomo non si volge all'Infinito, ma si appaga del finito.
  2. Dal punto di vista gnoseologico si afferma una tendenza a sopravvalutare “ottimisticamente” la capacità della ragione concettuale di conoscere la realtà. Si potrebbe dire che in questo modo si scivola verso un dogmatismo tendenzialmente intollerante.
  3. Ne segue, in particolare nel periodo post-rivoluzionario, un atteggiamento di totale chiusura alla modernità, vista come qualcosa da rigettare puramente e semplicemente nella sua totalità. Per tornare, il più possibile, al Medioevo.

1. Un dualismo teologico

l'autosufficienza della natura

Su questo tema Henri de Lubac ha scritto cose decisive: da fine '400 dei teologi che pretendono di rifarsi a Tommaso d'Aquino, a partire da Dionigi il Certosino, per poi scendere al Gaetano, al Bellarimino, a Francisco Suarez e a Domenico Bañez, negano che nell'uomo di sia un desiderio naturale di vedere Dio; ossia negano che la natura umana sia protesa oltre sé stessa, oltre quanto può raggiungere con le sue sole forze (perché la visione di Dio, che è Infinito, è oltre le forze, le capacità di una natura finita come è quella umana). Ne segue che, a saziare il desiderio umano basterebbe il finito.

La conseguenza è quella di separare natura e soprannaturale, ossia è il dualismo teologico. La natura basta a sé stessa. Il soprannaturale (quindi Cristo e la Chiesa) sono una aggiunta non necessaria. Qualcosa quindi che non ha molto a che fare con la realtà di tutti i giorni. La realtà quotidiana è una cosa, l'ambito della fede è un'altra cosa: sono due sfere separate, che non si incontrano.

il conseguente moralismo

Un effetto pressoché inevitabile del dualismo in campo esistenziale è il moralismo: se la fede, e quindi la grazia (di Dio, soprannaturale), non c'entrano con la vita, vuol dire che Dio non entra nella vita reale prendendo l'iniziativa, una iniziativa a cui uno deve solo aderire. Ma allora la vita reale, concreta, quotidiana, è una faccenda totalmente “naturale”, e uno nella vita deve arrangiarsi con le sue forze, deve cercare di obbedire alla legge facendo leva sulla sua volontà. E questa è appunto una concezione moralistica.

2. Un intellettualismo tendente al razionalismo

l'autosufficienza della ragione
o la sovrastima del potere del concetto

Il neotomismo pur partendo da una giusta affermazione della capacità della ragione concettuale di conoscere davvero la realtà, ne esagera in modo unilaterale la portata, il potere. Sostenendone una non realistica autosufficienza. Come se da sola la ragione concettuale potesse conoscere in modo “tranquillo” e autosufficiente tutto quanto ci è necessario sapere, per consentirci di vivere nel modo migliore (ossia piacendo a Dio, facendo la Sua volontà).

Questa impostazione, in tal modo,

3. Uno sguardo torvo alla modernità

il moderno come puro e semplice errore

Questa pretesa che la ragione concettuale basti, senza alcun drammatico coinvolgimento della libertà, a farci conoscere perfettamente tutto quanto dobbiamo conoscere, tra cui la legge naturale, una legge che la nostra volontà avrebbe tutta la possibilità di osservare con le sue sole forze, porta ad essere molto severi verso chi non riconosce tale verità e tale legge. Ossia porta ad essere severi con la modernità, una modernità, almeno in parte, attraversata dal dubbio e dalla ribellione a quanto la tradizione medioevale aveva considerato valido. Se il riconoscimento della verità e l'osservanza della legge sono qualcosa di ovvio e di facile, come lo sono per il neotomismo, il loro mancato riconoscimento non può che essere frutto di malafede.

Verso una modernità pensata come in malafede non ci può quindi essere alcun dialogo, né di essa ci può essere alcuna valorizzazione.

E questa è in effetti una conseguenza che i neotomisti, sia pure con diverse sfumature, traggono. Così la messa in discussione dell'ottimismo gnoseologico medioevale viene vista come totalmente negativa. Mentre una valutazione più bilanciata, come quella fatta da Maritain, non ha problemi ad ammettere che in età classico-medioevale si esagerava un po' il potere della ragione filosofica, come se fosse immediatamente tutto chiaro; anche se poi, molta modernità ha esagerato nel senso diametralmente opposto, dubitando anche di ciò di cui non si dovrebbe dubitare. Insomma a un eccesso di certezza, ha fatto seguito, per reazione, un difetto di certezza, un eccesso di dubbio. Questo è il modo più equilibrato e realistico di vedere la dinamica storica. Mentre per il neotomismo il Medioevo è la pura e semplice verità, e la modernità è il puro e semplice errore.

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