la filosofia ebraica

Avicebron

Salomon ibn Gabirol (latinizzato in Avicebron dagli scolastici occidentali, che lo credevano arabo) nacque a Malaga nel 1021 e morì a Saragozza nel 1070 ca.

Fu influenzato dalla filosofia araba, vivendo nella Spagna dominata dagli arabi e in arabo scrisse; la sua opera principale è la Fons Vitae, di cui abbiamo solo la traduzione in latino, e che ebbe un notevole influsso sulla filosofia scolastica.

Avicebron sostenne una concezione emanazionistica, per cui Dio crea non immediatamente, ma mediante delle Intelligenze (superiori), al cui vertice Egli sta, ineffabilmente trascendente.

Egli distinse poi da Dio il divino Volere, lasciando nell'ambiguità la questione se si tratti solo di un aspetto di Dio o di una vera e propria Ipostasi. Di fatto il divino Volere prende il posto del Logos, e da esso procede poi lo spirito cosmico o Anima del Mondo.

Altre tesi filosofiche importanti di Avicebron sono l'ilemorfismo universale e la pluralità delle forme. In base alla prima di esse tutto ciò che non è Dio è composto di materia e di forma: le stesse realtà spirituali dunque hanno in sé una dimensione materiale, che ne giustifica la limitatezza e la differenza dall'Infinito. La pluralità delle forme prevede che nelle realtà finite si stratifichino appunto più forme (sostanziali): ad esempio una che ne fà un essere corporeo, una che ne fà un vivente, un'altra che ne fà un animale e un'altra ancora che ne fà un cavallo. Queste due tesi ebbero pure influsso sulla elaborazione flosofica occidentale, specie di indirizzo agostiniano, benché fossero in qualche modo già implicite nello stesso S.Agostino.

Mosé Maimonide

è il più importante dei filosofi ebraici medioevali; nacque a Cordova nel 1135, ma dovette abbandonare la Spagna per via del pesante clima di persecuzione che gravava sia sui filosofi sia su ebrei e cristiani, da parte delle autorità islamiche e si trasferì in Egitto, morendo al Cairo nel 1204.

Scrisse tra l'altro una Guida dei perplessi perseguendo un ideale di armonia tra fede e ragione, e vedendo in Aristotele il suo principale punto di riferimento filosofico.

Riguardo all'autorità della Bibbia egli ritenne che laddove il testo sacro contraddice in modo evidente l'esperienza e la ragione, deve essere interpretato in modo allegorico. In questa sua convinzione non c'è, come invece ravvisarono alcuni suoi correligionari fanatici, del razionalismo: egli è un sincero credente, che non vuole abdicare alla ragione.

Maimonide in proposito affrontò il tema dell'eternità del mondo, sostenendo che la ragione filosofica non ha argomenti stringenti per affermarne né l'eternità, né l'inizio nel tempo. Mentre la fede di insegna che il mondo ha avuto inizio. In ciò egli dimostra la sua, almeno parziale, indipendenza da Aristotele.

Il mondo poi è creato dal nulla, altrimenti non si spiegherebbe la possibilità del miracolo: sbagliava perciò Aristotele, come pure Platone, su questo punto.

L'esistenza di Dio può essere provata a partire dalle creature, arrivando a Lui come primo motore, causa prima e essere necessario.

Maimonide accentua il carattere di inconoscibilità di Dio, la teologia negativa in lui predomina, molto più che in Tommaso d'Aquino, su quella positiva.

Egli sostenne la provvidenza divina fino al particolare, e una sorta di immortalità, ma (sec. Copleston) solo per i giusti. In effetti propriamente immortale è l'Intelletto agente, che è la decima delle Intelligenze superiori, mentre l'individuo umano non ha che un intelletto passivo, che secondo Copleston (differente in ciò da Gilson) può acquistare, per i suoi meriti morali, l'immortalità.

Per un giudizio

Rispetto alla filosofia araba medioevale, quella ebraica realizza un maggior grado di armonia tra ragione e rivelazione; tuttavia siamo ben lontani dai livelli di integrazione fede/ragione propri dell'intelligenza cristiana: anche in Maimonide, pur più ortodosso di Avicebron, si riscontrano tesi eterodosse, in particolare riguardo al destino eterno dell'uomo.