Platone

la scoperta dell'invisibile come vera realtà

🪪 Cenni sulla vita

opere

tratti metodologici generali

maestro e discepolo
Maestro e discepolo: fondamentale fu per Platone il rapporto con Socrate.

Come il maestro, Socrate, Platone avversava il libro scritto (cfr. il Fedro) a vantaggio della parola viva; tuttavia accettò di scrivere, seppur nella forma più vicina possibile al dialogo diretto: scrisse perciò delle opere in forma di dialogo.

In tali dialoghi Socrate figura come simbolo della filosofia stessa, solo in alcuni dei primi dialoghi rappresentando il Socrate storico; per lo più Platone gli attribuisce il proprio pensiero.

Si può leggere anche una scheda di approfondimento sul metodo espositivo di Platone.

1. Dialoghi socratici

In comune Platone in questi dialoghi cerca il τι εστι, l'essenza universale di dati fenomeni, respingendo le definizione degli interlocutori, che riducono le essenze a degli esempi particolari. Secondo Abbagnano il senso complessivo di questi dialoghi è evidenziare l'impossibilità di definire singole virtù isolandole dal contesto totale: unica è la virtù, come unico è il sapere.

Apologia di Socrate
Vi emerge il compito del filosofo: ricercare la verità e la giustizia, seguendo la ragione e non il proprio interesse, e obbedendo al Divino. La vita vi è concepita come ricerca appassionata del sapere vero e della virtù/giustizia.
Critone
Il filosofo da un lato non deve temere di dispiacere ai più, senza dall'altro tradire la polis: la sua missione è di essere incardinato nella città, e anche quando questa è ingiusta (come appunto nel caso di Socrate) non deve recarle ingiustizia (come avrebbe fatto Socrate se fosse fuggito).
Ione
che cos'è l'arte
Lachete
che cos'è il coraggio
Liside
che cos'è l'amicizia
Carmide
che cos'è la saggezza
Eutifrone
che cos'è la santità (Platone critica la definizione di Eutifrone che la riduceva a "fare ciò che piace agli Dei", in base alla quale egli aveva denunciato il padre, reo di aver lasciato morire un servo, a sua volta reo di omicidio: tale definizione non raggiunge un livello di vera universalità, non considerando come gli Dei siano tra loro in lotta)

2. Dialoghi sofistici

In generale Platone cerca di fondare in questi dialoghi un sapere assoluto e universale. E per far ciò affronta il pensiero dei Sofisti, che negano un criterio trascendente l'immediato: l'antirelativismo segna perciò questi dialoghi. Un altro tema, attiguo, è quello della insegnabilità della virtù /sapere (raggiungibilità del vero).

Ippia maggiore
Affronta un tema analogo ai d. socratici: il "che cos'è" il bello. Vengono respinte come inadeguate le definizioni di Ippia, rimandanti a esemplificazioni particolari. La definizione deve invece essere universale, cogliere il ciò per cui una cosa è bella.
Ippia minore
Il dialogo parte da un confronto tra Achille (veritiero) e Ulisse (ingannatore: mente pur sapendo il vero) e da una iniziale preferenza per Achille; alla fine però tale giudizio non è più certo: forse è meglio fare il male sapendolo tale, che fare il bene senza conoscerlo come tale. Dunque la conoscenza è preferibile a ogni altro valore.
Eutidemo
Platone vi critica la discussione fine a sè stessa, l'eristica che vuole prevalere, non cercando disinteressatamente il vero.
Gorgia

Vi critica la retorica, quale arte di persuadere, avente per fine il piacevole e l'utile, non il meglio e il giusto. Essa è paragonabile all'arte culinaria, che alletta il gusto, superficialmente.

Inoltre essa è indifferente alla giustizia e conduce a considerare preferibile fare piuttosto che subire l'ingiustizia.

In effetti Callicle tematizza la convenzionalità della giustizia (come leggi civili) rispetto alla naturale tendenza del più forte a dominare. Dunque la vera giustizia per lui è la forza, la potenza; mentre le leggi sono fatte dai deboli.

Protagora
Quella insegnata dai Sofisti non è virtù, ma pura abilità retorica.
Menone
La vera virtù, che è sapere, è insegnabile: non può venire dall'esperienza, mutevole e relativa, ma la possiamo ricavare dal nostro interno, ricordando.
Cratilo
Vi critica il verbalismo sofista, col suo uso delle parole slegato dal loro significato oggettivo.

3. Dialoghi della maturità

In essi elabora la teoria, centrale nel suo pensiero, delle Idee, quale unica adeguata a fondare l'assolutezza della verità e della virtù, e quale modello cui ispirarsi per plasmare la polis nella giustizia e per saziare il desidero individuale di assoluto bene e assoluta bellezza.


Fedone

Vi si affronta l'esistenza del mondo intelligibile, necessario

a) ontologicamente come perfetto, assoluto, eterno e immutabile fondamento dell'imperfetto, relativo, effimero e mutevole mondo sensibile

b) valorialmente, come unica adeguata spiegazione dell'umano agire, inspiegabile meccanicisticamente (come puro urto di corpi), ma solo in riferimento a valori, a fini che lo motivano, ultimamente fondati nell'Idea.

Platone vi dimostra anche l'immortalità dell'anima, in base a quattro argomenti:

  1. dei contrari
  2. della reminiscenza (non potremmo ricordare le Idee se non le avessimo viste, e non le avremmo potute vedere se non in una vita distaccata dal corpo, che suppone un'anima immortale)
  3. della somiglianza (l'anima è imparentata con l'intelligibile, che è immutabile, dunque lei pure deve essere immutabile, quindi immortale)
  4. della vitalità (l'anima partecipa della vita)
Simposio
Vi si affronta tra l'altro il tema dell'amore. Celebre il mito di Androgino (essere al contempo maschile e femminile, la cui divisione è all'origine della attrazione sessuale) e la scala gerarchica di ascesa verso la Bellezza: dai corpi belli, alla bellezza delle anime, poi delle leggi, della scienza e infine il Bene-in-sè.
Repubblica
è l'opera centrale di Platone, in cui sono affrontati tutti i principali temi della speculazione platonica, da quello gnoseologico a quello ontologico, da quello estetico a quello politico. Fondamentale il mito della Caverna. Importanti le tesi politiche, con la delineazione di una città ideale, retta da una assoluta Giustizia.
Fedro
Vi si tratta soprattutto della ascesa dell'anima verso il mondo intelligibile.

4. Dialoghi della vecchiaia

Platone vi stempera il rigoroso dualismo mondo intelligibile/mondo sensibile proprio della maturità, recuperando il valore del concreto (metafisicamente nel Parmenide e nel Sofista, cosmologicamente nel Timeo, eticamente nel Filebo, politicamente nel Politico e nelle Leggi), senza peraltro abdicare all'antirelativismo.

Parmenide
Critica l'unità assoluta dell'essere di Parmenide: comporterebbe infatti la negazione del sensibile e non potrebbe essere nè pensato nè detto (implicando ciò, rispettivamente, molti concetti e molte parole).
Sofista
Accanto all'essere e al non-essere, a cui si fermava Parmenide, occorre introdurre altri concetti, come fondamentali, ossia:

                    quiete                 identico 
    essere
                    movimento           diverso

L'ammissione del diverso (per cui ogni Idea non è le altre) e del movimento (come tensione dinamica da Idea a Idea) scardinano le basi dell'eleatismo. Si introduce così il concetto di essere come potenza, possibilità (sviluppato poi da Aristotele) , e come relazione (si conosce solo relazionando una Idea con le altre: vi è una dialettica tra le idee, per cui ogni Idea richiama il suo opposto, in organica connessione).

Filebo

Vi si incontra un influsso pitagorico, con valorizzazione dell'idea di misura: tanto a livello ontico quanto a livello etico.

Vi distingue quattro categorie supreme:

il peras (limitante) [cfr. la forma aristotelica]

la causa intelligente

il misto [cfr. il sinolo aristotelico]

l'apeiron (illimite) [cfr. la materia aristotelica]

Ciò, a livello morale, significa che l'uomo, nè dio, nè bestia, deve agire con misura, ponendo un limite (ordine razionale) all'illimite del piacere, dell'istintività immediata (non tutti i piaceri sono leciti), ottenendo così una vita mista (nè divina, nè animalesca), armonica ed equilibrata.

Teeteto
Vi critica la gnoseologia sofista che fonda il sapere sulla sensazione mutevole e soggettiva, sganciandolo dalle Idee.
Timeo
Vi espone una cosmologia che in qualche modo rivaluta il mondo sensibile, voluto da un essere divino buono, ma di potenza non infinita, il Demiurgo, che avrebbe cercato di infondere nella materia preesistente, la chora, il massimo grado possibile di somiglianza al mondo intelligibile.
Politico
Vi si riaffronta la tematica politica, stemperando il carattere utopico del progetto della Repubblica. La cosa pubblica viene vista ora con maggior realismo.
Crizia

Leggi

l'intento platonico di fondo

Metodologicamente. Vi è in Platone una esigenza di spiegazione totale della realtà (una serietà fondamentale nei confronti del problema dell'esistenza) e la convinzione che tale spiegazione non sia facile, banale, immediata: di qui l'importanza della ricerca, e quindi il dialogo e il mito.

Contenutisticamente egli pensa che la realtà vera non sia il mondo che è oggetto della sensazione, mutevole e imperfetto, ma una realtà immutabile e perfetta, che può essere affermata solo dal pensiero: il mondo intelligibile. A tale mondo occorre aspirare sia individualmente, con la conoscenza e l'affettività, sia collettivamente.

il mondo intelligibile

sua esistenza

il Partenone
un grande anelito religioso anima tutta la filosofia platonica

Il mondo delle Idee o intelligibile deve esistere per due ragioni fondamentali, una gnoseologica e una ontologica. La via gnoseologica al mondo intelligibile argomenta che altrimenti non si spiegherebbe perché noi pensiamo in base a delle categorie di perfezione e di stabilità, non si spiegherebbe insomma perché abbiamo in noi una conoscenza, un sapere immutabile e perfetto (quale la matematica o la filosofia); quale origine infatti può avere un effetto perfetto? Solo un'origine, una causa perfetta; un sapere immutabile non può dunque avere origine dal mondo mutevole del sensibile, ma solo da un mondo immutabile, quale è appunto il mondo intelligibile.

L'altra via, la via ontologica argomenta che se non si ammettesse una realtà ideale non si spiegherebbe il movente adeguato della realtà umana (meccanicisticamente inspiegabile);(si veda in particolare il Fedone, ed alcuni brani di Platone: il fisico non basta a spiegare il fisico, occorre una seconda navigazione.

sua essenza

Tale mondo intelligibile non va inteso come esangue concettualità puramente mentale, ma al contrario esso è vera realtà, anzi la vera realtà, assoluta, stabile e perfetta (Cratilo), immutabile (Fedone), essere in senso pieno (Repubblica): è semmai il mondo sensibile e materiale ad essere una realtà imperfetta e relativa, ombra e copia delle Idee (cfr. il mito della caverna).

un confronto con Hegel

Per Platone la realtà vera non è il mondo materiale, sensibile, ma il mondo delle Idee. Sembrerebbe esserci una somiglianza in ciò con l'idealismo, con Hegel, ma è opportuno evidenziare una differenza notevole.

A differenza di Hegel, che assorbe tutto nel Pensiero umano, suo Dio, totalità onniavvolgente, Platone ritiene che il pensiero umano deve conformarsi a una Oggettività che lo precede e misura. Se per Hegel il pensiero umano (sia pure non quello individuale) è misura di tutto, per Platone il pensiero è misurato, è dipendente dalla Oggettività del mondo intelligibile.

Parallelamente, mentre per Hegel il finito è inconsistente, contraddittorio, si risolve esaurientemente nell'Infinito, Platone riconosce al mondo sensibile, pur ombra dell'intelligibile, una certa consistenza reale.

In questo senso, pur differenziandosi dalla cultura cristiana, che vede l'Oggettività suprema nel Soggetto Trinitario, nel Tu tripersonale del Mistero Infinito, e non in una schiera di idee impersonali e finite, e che riconosce una piena consistenza reale a quel finito, in cui il Figlio ha voluto incarnarsi, valorizzandone ogni minimo dettaglio, Platone è comunque più vicino al Cristianesimo di Hegel.

Abbiamo detto che non sono da intendere nel senso corrente, di concetti, presenti (solo) nella nostra mente: eidos, idea indicano invece una struttura ontologica, l'essenza intelligibile delle cose (a partire dal senso più immediato del termine, che indica la figura esteriore, si risale al senso di intimo costititutivo, il ciò-per-cui una realtà è quella realtà).

Aristotele le intendeva come ipostatizzazione di concetti, ma l'intenzione di Platone, secondo G.Reale, era piuttosto quella di affermare, contro il relativismo sofistico e il mobilismo eracliteo, l'esistenza di un livello della realtà assoluto e immutabile.

Le idee sono comprensibili in rapporto alle cose sensibili, come dal seguente schema:

cose idee
relative assolute (in sè)
mutevoli immutabili (se mutassero le cause, non vi sarebbero causati)
essere in senso derivato e partecipato essere in senso pieno, non partecipato
visibili, sensibili invisibili
corruttibili (nascono e muoiono) eterne

A differenza di Parmenide, a cui pure Platone deve molto (come la contrapposizione tra δόξα, apparenza sensibile, e ἀλήθεια, verità intelligibile) la realtà vera, pur eterna e immutabile, non è assolutamente una, bensì molteplice.
Certo è una molteplicità non caotica, ma organizzata, quindi in qualche modo unificata, facente capo ad una Idea suprema (il Bene-in-sè). Negli ultimi dialoghi (come il Parmenide e il Sofista) Platone tematizza l'impossibilità di una unità (monolitica) come la pensava Parmenide: l'uno non può essere senza i molti, l'identico non può essere senza il diverso.

Il mondo delle Idee è in effetti strutturato in modo gerarchico:

al suo vertice vi è l'Idea del Bene (Repubblica)

seguono le idee dei valori (giustizia, etc.)

e le idee-matematiche

alla base della piramide stanno le Idee delle cose sensibili

suo rapporto col mondo sensibile

La contrapposizione tra aletheia e doxa non è come in Parmenide assoluta e, come dire, abissale: tra le due sfere non vi è totale eterogeneità, estraneità, ma vi è un qualche rapporto tra il mondo vero e il mondo apparente, sensibile, un rapporto espresso da quattro caratteristiche: il mondo sensibile è imitazione (mimesi), partecipazione (metessi), comunione (koinonia) e presenza (parousia) del mondo intelligibile.Decisive sono soprattutto le prime due: il mondo sensibile imita quello intelligibile (un melo sensibile è simile all'idea di melo, il bianco sensibile è simile all'idea di bianco, al bianco-in-sé, un po' come un modellino di un monumento, mettiamo del Colosseo o del David di Michelangelo, imita l'originale, lo richiama, permette di farsene un'idea ancor prima di averlo visto) e ne partecipa (un po' come un modellino fatto dello stesso elemento partecipa anche nella sua "stoffa" dell'originale).

il mondo sensibile

Come ricordato parlando del Timeo, il mondo sensibile non è stato creato (dal nulla), ma plasmato da una materia preesistente, la chora. Il mondo corporeo non è stato creato: perché il divino per Platone non è Infinito, non è Onnipotente, ma ha una perfezione limitata, finita. Divine sono le Idee, ma sono impersonali, intelligibili, ma non intelligenti (per Platone l'intelligibile è superiore all'intelligenza, perché la regola e la misura e non ne dipende), non sono dei "TU", centri di consapevolezza e di libertà (il Bene è theion, non theos), e inoltre non possono generare che Idee (secondo una tesi comune al pensiero greco, per cui il supremo non può "abbassarsi" verso l'inferiore); e divino è il personaggio del Demiurgo, meno perfetto delle Idee, ma essere personale, buono e perfetto (finitamente).
Il Demiurgo trova la materia già esistente, come qualcosa di indeterminato, inintelligibile, oscuro, informe, caotico, retto da cieca necessità, quale spazialità "ricettacolo di tutto ciò che si genera, quasi una nutrice". Tale materia, più consistente in un certo senso di quella aristotelica, che è puro principio, non è il non essere, ha una sua realtà. Tale chora è fattore di relatività, di instabilità, di fenomenicità.
Il Demiurgo non può azzerarne tali caratteristiche negative, che non lui ha creato; cerca però di attutirne al massimo la negatività, infondendo in essa una somiglianza e una partecipazione delle Idee. Da tale opera di plasmazione esce, dal caos che precedeva, un cosmos, quanto più possibile armonico e ordinato.

Il male che ancora sussiste nel cosmo, consistente essenzialmente in un disordine, in una irrazionale disarmonia, non è dovuto all'azione plasmatrice del divino, ma alla resistenza opposta dalla materia caotica, che non ha potuto essere totalmente piegata e vinta.

La dottrina cosmologica imperniata sul mito del Demiurgo può essere vista nel senso di una rivalutazione del mondo sensibile, e di una superamento della negazione parmenidea del molteplice: i fenomeni molteplici hanno un certo essere, una certa realtà, un essere imperfetto e frammentato, ma diverso dal puro non-essere. Ne segue anche che la conoscenza del mondo sensibile, la δόξα, pur non essendo piena verità, ἀλήθεια, non è nemmeno assoluta ignoranza.

l'anima del mondo e il tempo

Platone paragona il mondo sensibile a un vivente perfetto, anzi a una sorta di "dio visibile", in quanto plasmato dal Demiurgo; di questo dio visibile il corpo è il mondo, e l'anima è estesa a tutto il mondo, permeandolo e contenendolo, secondo proporzioni e intervalli numerici di una scala musicale. Oltre al dio visibile dell'ambiente terrestre, il Demiurgo ha plasmato anche altri dèi visibili:

Il tempo: è immagine mobile dell'Eterno, ed è nato con il cielo.
Il cosmo ha avuto un inizio (con l'opera del Demiurgo), ma non ha termine, è incorruttibile.

l'uomo

Come la realtà nel suo insieme è divisa in due livelli, quello intelligibile, perfetto, e quello sensibile-materiale, imperfetto, così l'uomo è concepito dualisticamente, diviso in anima e corpo pensate come due sostanze solo estrinsecamente unite: l'anima è la componente dell'uomo imparentata col mondo intelligibile, il corpo quella imparentata col mondo sensibile.

Poiché solo il mondo intelligibile è buono, mentre il mondo sensibile è intriso di materia, che è cattiva, la componente davvero buona dell'uomo è l'anima, mentre il corpo viene visto con diffidenza, perché ci lega alla materia.

Non facile è quindi l'armonia tra le componenti umane: Platone esprime questo tema nel mito del carro alato, dove l'uomo è presentato come una realtà contraddittoria. Il carro alato infatti è guidato da un auriga (l'anima razionale) che deve faticare non poco a indirizzare i due cavalli che tirano il cocchio, l'uno dei quali, quello bianco, è buono, e vorrebbe salire verso il cielo, l'altro, quello nero, è cattivo e vorrebbe andare verso la terra.

il destino ultraterreno

L'anima è immortale. Platone cerca di argomentare in vari modi questa verità:

Se l'anima è immortale, che cosa le accade dopo la morte del corpo? Platone affida al mito la risposta a questa domanda, non sentendosi di configurare con precisa esattezza i contorni del destino ultraterreno dell'uomo, ma delinenandone comunque alcuni tratti essenziali.

Il più fondamentale dei quali è che il destino ultraterreno è proporzionato al comportamento umano nella vita terrena: la vita dell'al-di-là si configura come un premio o una sanzione per quanto operato in questa vita.

La metempsicosi è un altro tratto della concezione platonica: essendo le anime, spiega Platone nella Repubblica, in numero finito (come, spazialmente, finito è il mondo) ed essendo il tempo infinito (non avrà fine) occorre ammettere (in assenza di un Dio creatore) che le anime si reincarnino, per assicurare la permanenza del genere umano. è probabile che questa tesi vada intesa in senso letterale, mentre dubbi si possono avere sul reale significato di altre tesi, presentate in forma di mito.

Nel Gorgia, in particolare, afferma che le anime dei giusti andranno nelle isole dei beati, dove appunto saranno felici, mentre quelle degli ingiusti finiranno nel Tartaro, luogo di sofferenza.

Nel Fedone egli ipotizza che non ci sia solo reincarnazione in altri esseri umani, ma anche, per i cattivi, in animali (ognuno reincarnandosi in un animale rappresentativo del proprio vizio predominante), e per gli stessi buoni ci sarebbe la possibilità di abitare, oltre che corpi umani, anche corpi di animali, seppur mansueti e socievoli. Tuttavia affiora anche l'ipotesi di un premio e di un castigo stabili per anime eccezionalmente buone (premiate eternamente con la contemplazione delle Idee) e per quelle eccezionalmente cattive (eternamente punite nel Tartaro). Riguardo a tutte queste tesi vale l'avvertenza che non si deve prendere il mito in senso necessariamente letterale: c'è, a suo riguardo un rischio, ma bello è il rischio (καλὸς γὰρ ὁ κίνδυνος) e giova fare a sé stessi simili incantesimi, se ci rendono migliori.

Nella Repubblica il premio o il castigo vengono dati all'anima nel mondo intelligibile, dove essa sosta, tra una reincarnazione e l'altra, per mille anni (eccetto il caso di anime particolarmente scellerate, il cui castigo può protrarsi più a lungo).

la conoscenza come reminiscenza

Abbiamo visto che l'anima preesiste al corpo, e non è distrutta alla morte del corpo; in essa alberga una memoria (reminiscenza o anamnesi) delle idee (viste nei periodi di distacco dal corpo e di contemplazione del mondo intelligibile), e un desiderio (ἕρως) di esse, memoria e desiderio accesi dalle cose, che, come abbiamo visto, delle idee sono imitazione (μίμησις) e partecipazione (μέθεξις).

che cosa non è conoscenza vera

Soprattutto nel Teeteto Platone sviluppa la sua gnoseologia "negativa", chiarendo che cosa non sia vera conoscenza:

La conoscenza vera deve essere immutabile e assoluta, e deve cogliere un dato universale e definibile in modo chiaro e stabile.

che cosa è conoscenza vera

Soprattutto nella Repubblica Platone chiarisce questo tema. Ciò che è massimamente conoscibile (dunque oggetto di vera conoscenza) è ciò che massimamente è: vi è corrispondenza tra essere e conoscere, tra ontologia e gnoseologia.
L'essere sensibile, intermedio tra il nulla e il vero essere è perciò oggetto di una conoscenza imperfetta, a metà tra la scienza e l'ignoranza, ossia la doxa. Solo dell'essere intelligibile si da vera scienza (episteme).

mappa dei tipi di conoscenza
conoscenza realtà
doxa eikasia immagini sensibili mondo sensibile
pistis oggetti sensibili

episteme dianoia oggetti matematici mondo intelligibile
noesis Idee


come si ottiene la conoscenza vera

Per Platone, come ricordato sopra, non può essere la sensazione a darci il sapere assoluto: questo deve venire da un oggetto assoluto, che abbiamo potuto vedere solo quando l'anima non era legata al corpo, ma contemplava il mondo intelligibile.

Perciò conoscere è ricordare quanto si è già visto, nel mondo intelligibile, l'iperuranio. La vera conoscenza è anamnesi, reminiscenza. Conoscere in modo vero e assoluto è far riemergere ciò che già sappiamo.

è soprattutto nel Menone che Platone precisa queste sue tesi. L'anima, prima di unirsi a un corpo è stata in contatto diretto con il mondo intelligibile, con le Idee (l'anima non viene creata contestualmente al concepimento di un nuovo individuo, ma trasmigra, reincarnandosi in successive vite corporali: Platone fa propria la metempsicosi, già affermata dai pitagorici). Nel Menone egli parla appunto di uno schiavo così chiamato che, del tutto ignaro di geometria, giunge a dimostrare il teorema di Pitagora: a prova che le verità matematiche (e in generale le verità assolute) non sono ricavate dall'esterno, dall'esperienza sensibile, ma sono tratte dall'interiorità, dal di dentro, dall'anima, che ricorda ciò che ha visto e sapeva quindi già, ben prima che l'esperienza glielo richiamasse.

Anche nel Fedone egli dimostra che gli oggetti di conoscenza più perfetti (come quelli matematici) non possono venire dai sensi (dato che nessun oggetto sensibile è perfetto) nè essere creati dal soggetto, che invece li "trova": perciò devono essere già presenti nell'intimo della mente, e ricordati in occasione della sensazione.

La conoscenza vera dunque è ricavata in qualche modo a-priori, non è data dalla sensazione; tuttavia a differenza di Kant tale a-priori non è qualcosa di soggettivo, ma è impresso in noi dalla Oggettività delle Idee, che esistono "prima e fuori" di noi. Come tutto il grande pensiero classico, anche Platone si inchina di fronte alla Oggettività misurante, che precede e trascende il soggetto umano.

Nella Repubblica e in dialoghi successivi Platone delinea la ascesa alla conoscenza dell'intelligibile mediante la dialettica, procedimento insieme discorsivo e intuitivo, che coglie le Idee e i loro nessi: a) risalendo dalle idee inferiori verso quelle superiori fino al "vertice" del Bene in sè (d. ascensiva, da alcuni accostata al metodo socratico e al momento dell'ipotesi in matematica), b) discendendo poi col dividere le idee particolari contenute nelle idee generali, e stabilendo così i gradi della gerarchia intelligibile (d. diairetica o discensiva).

il desiderio (eros)

Imparentato, mediante la sua anima, col mondo intelligibile, l'uomo non solo lo ricorda, ma anche lo desidera: il desiderio (eros) spinge l'anima a risalire verso il mondo intelligibile e la sua bellezza. Esso è visto (miticamente) come figlio di Penìa (Povertà) e Poros (Ricchezza): nasce da un non pieno possesso di ciò a cui aspira (povertà), pur implicando una certa partecipazione (ricchezza) ad esso. Così come la attrattiva sessuale implica una originaria unità, successivamente scissa e di cui si cerca una ricostruzione (mito di Androgino, nel Simposio, in cui si teorizza anche la ascesa attraverso la scala della bellezza).

la politica

nella Repubblica

Non solo l'individuo aspira alla perfezione del mondo intelligibile, ma anche la polis, la collettività deve cercare di conformarvisi il più possibile

Chiamato a rapportarsi al mondo intelligibile infatti non è solo l'individuo, ma anche la polis, la società. L'individuo in effetti, per Platone come per tutti i greci, almeno fino all'ellenismo, si concepisce come organicamente inserito nella polis, appartenente ad essa. Tale componente politica (nel senso etimologico) è presente anche nel mito della caverna: l'uomo che si è liberato dai ceppi ed ha raggiunto la vera realtà, fuori dalla caverna, avverte di non poter godere solitariamente di tale scoperta, ma di doverla partecipare ai suoi simili (i suoi concittadini).

Nella Repubblica Platone ipotizza una polis interamente basata sulla Giustizia: è la prima, grande utopia del pensiero occidentale. Suo presupposto è la opposizione sia alla democrazia (Protagora) sia al potere dei più forti (Gorgia).

La polis ideale è costruita su un modello tripartito, che ricalca la tripartizione dell'individuo in tre anime: come il singolo ha un'anima razionale, una irascibile e una concupiscibile, così la città si regge su tre categorie di persone, i reggitori, i soldati (o guardiani) e i lavoratori (o produttori: contadini, artigiani, commercianti). Vi è quindi un reciproco rispecchiamento tra individuo e città: l'individuo è una piccola città ovvero la città è un uomo in grande.

reggitori sapienza anima razionale
guardiani coraggio anima irascibile
lavoratori temperanza anima concupiscibile

Si vede nello schema qui sopra proposto come ad ogni anima (e categoria sociale) corrisponda una certa virtù: l'armonia delle virtù nella loro integrità è poi la giustizia, suprema virtù.

Il compito di reggere la città spetta per il Platone della Repubblica ai filosofi: sono loro a conoscere il Bene, e quindi a loro spetta di plasmare il volto della città in base a tale conoscenza. Non i più abili a persuadere devono perciò avere il potere, ma i più vicini al mondo delle Idee: la politica non è questione di abilità, come dire?, tecnica, ma questione di etica, la politica è etica. Per esercitare convenientemente il loro difficile compito i futuri governanti-filosofi dovranno sottoporsi a un lunghissimo percorso educativo, a un tirocinio che non si concluderà che verso i 50 anni.

Altro elemento utopico della proposta platonica nella Repubblica è quanto egli prospetta per per i reggitori e per i soldati (corrispondenti questi all'anima irascibile, quella che affronta il negativo): a tale proposito egli auspica una sorta di “comunismo” di beni materiali e di affetti familiari. Per meglio governare e difendere la polis infatti un reggitore o un guerriero non deve avere dei suoi beni e una sua famiglia, ma deve considerare suo bene e sua famiglia l'intera città.

Non vi sono invece richieste utopiche per la categoria dei produttori, che deve comunque subordinare la propria attività al bene della città.

è stato osservato come un modello ispiratore del progetto platonico nella Repubblica possa essere trovato in Sparta, dove effettivamente la minoranza (politicamente e militarmente) dominante degli Spartiati viveva una condizione di larga comunanza di vita, affidando alle categorie inferiori degli Iloti e dei Perieci le attività produttive; ma Platone radicalizza ed estremizza tale modello, conferendogli appunto una dimensione utopica.

nel pensiero della vecchiaia (il Politico e le Leggi)

Nella sua vecchiaia Platone, anche in politica, abbandona il rigore idealizzante della giovinezza e della maturità, facendo i conti con l'imperfezione umana.

il Politico

Platone scrive questo dialogo dopo la prima deludente esperienza a Siracusa. Politico è per lui chi sa governare, possedendone la scienza, che consiste essenzialmente in una arte della misura: non deve inventare cose nuove, ma armonizzare, come intrecciandoli sapientemente, i diversi elementi di cui è composta la città.

Il buon politico deve sapere governare senza leggi, affrontando i casi particolari in base a una sua scienza (intuitiva). Tuttavia Platone non manca di considerare come per lo più tale situazione ideale non si verifichi e procede quindi a catalogare vari tipi di regime, o costituzione. Si tratta di tre tipi di regime, con le corrispondenti involuzioni: il governo di uno solo (la monarchia, la cui degenerazione è la tirannide), il governo di pochi (la aristocrazia, la cui degenerazione è l'oligarchia) e il governo dei molti (la democrazia, la degenerazione della quale non ha un altro nome specifico).

Migliore di tutti è la monarchia, perché più si avvicina al governo del buon politico, peggiore è la tirannide.

Pare che questa classificazione delle costituzioni sia da attribuirsi ad Erodoto, ma è indubbio che sia stato Platone a darle la fama che ha avuto.

le Leggi

Platone abbandona anche l'aspetto parzialmente utopico del politico, come uno che governa senza leggi e qui accetta che la città debba essere retta da leggi. In effetti in quest'ultimo dialogo Platone dice di non voler più parlare di una città ideale, ma solo della città seconda, effettivamente realizzabile nella storia.

La costituzione migliore, qui, è quella mista, che riunisce in sé il meglio della monarchia (ossia la concordia), della aristocrazia (ossia la saggezza) e della democrazia (ossia la libertà). Qualcosa di simile accadeva a Sparta, retta da una monarchia, ma col concorso dell'aristocrazia (il senato) e del popolo (nella sua assemblea).

Grande spazio dovrà comunque essere dato all'aristocrazia, al cui consiglio notturno (così chiamato per i tempi del suo ritrovarsi, onde non essere visto e perciò influenzato da nessuno) dovrà essere affidato il maggior potere.

interpretazioni principali

Schematizziamo senza pretesa di completezza alcuni momenti-cardine della recezione del pensiero platonico.

a) in età antica: Aristotele e la prima Accademia privilegiano il Platone metafisico delle Idee;
b) il neoplatonismo, la Patristica e il Medioevo, come molti rinascimentali, sottolinearono la componente mistico-religiosa di Platone (l'Idea del bene-Uno identificata a Dio, e una idea di ascesi accostata a quella cristiana);
c) nell'Ottocento si scopre l'evoluzione del pensiero platonico: ad opera di Hermann (nel 1839), L.Campbell (fine '800) e soprattutto del suo discepolo Lutoslawski (L'origine e lo sviluppo della logica di Platone, Londra 1897), che inventò il criterio stilometrico.
d) nel Novecento si verificò una esplosione di studi platonici:

interpretazioni riduttive

Capita su certi manuali scolastici di leggere interpretazioni riduttive del pensiero platonico che fanno dell'interesse per la politica l'interesse non solo prevalente e centrale in Platone (tesi tutt'altro che pacifica), ma addirittura l'unico ed esclusivo. Tagliando così completamente fuori la componente metafisica, la ricerca platonica dell'assoluto, che ha dei riverberi sulla politica solo perché prima di tutto interessa la ragione e il cuore dell'uomo, assetato di significato pieno e totale.

In Platone invece esiste una forte componente metafisica, che a nostro avviso (alla scuola di studiosi di riconosciuto valore come Giovanni Reale, E.Berti, che pur da forte rilievo alla componente politica, e altri) è addirittura centrale.

Per avere un esempio di una interpretazione che abbiamo definito riduttiva rimandiamo al commento fatto del mito della caverna sul sito dello SWIF (mi auguro non condiviso da tutto lo staff).

un problema: le dottrine non scritte

Si tratta di quanto Platone non avrebbe scritto, ma trasmesso oralmente ai suoi discepoli. Come vanno intese, anzitutto, queste dottrine non-scritte?

Secondo alcuni si tratterebbe di concezioni di non particolare rilievo nell'architettura complessiva del pensiero platonico; la loro importanza sarebbe stata esagerata essenzialmente per interpretazioni equivoche di certi passi aristotelici.

Secondo altri al contrario è proprio nella dottrine non-scritte che si troverebbe il vero Platone, rispetto a cui i dialoghi scritti non sarebbe che una introduzione provvisoria (è la tesi, sopra citata, del Kraemer). Secondo altri ancora (tra gli altri Berti) le dottrine non-scritte hanno avuto una certa importanza nel pensiero platonico, ma solo nella sua fase più tarda (nei dialoghi successivi alla Repubblica).

Quel che è certo è che si tratta di dottrine in cui molto forte sarebbe l'influsso pitagorico e l'importanza dei numeri. Al vertice della realtà vi sarebbero l'Uno e la Diade (grande-piccolo), l'Uno essendo il principio di ordine e di misura, e la Diade essendo una sorta di informe materia intelligibile. Da tali due fattori supremi deriverebbero dapprima le idee-numeri, poi le Idee vere e proprie, con la loro interna gerarchia già sopra accennata. Tale mondo intelligibile costituirebbe nel suo insieme un principio di limite (limitante) che si unirebbe poi (grazie al Demiurgo) all'illimite della materia sensibile per dar luogo al mondo sensibile che noi conosciamo.

Per un giudizio

meriti di Platone

suoi limiti

😃 positiva è la percezione del carattere drammatico della ricerca della verità e la valorizzazione del suo carattere dialogico-esistenziale

😧 in qualche modo la strutturale inconcludenza del dialogo platonico, la continua riformabilità delle conclusioni, mette a rischio la stabilità della verità

😃 avere per primo (Parmenide negava la doxa, affermando un "essere" totalizzante, al di qua di immanenza e trascendenza) esplicitato con chiarezza la distinzione tra piano visibile e piano invisibile, e in qualche modo tra immanenza e trascendenza;
è quello che Giovanni Reale chiama la scoperta del sopransensibile

😧 la trascendenza da lui riconosciuta è ancora qualcosa di finito, e al suo vertice non sta una realtà personale, ma le idee, impersonali:
il vertice della realtà personale è il Demiurgo, essere sì perfetto e buono, ma non infinito e onnipotente

😃 con ancora maggior determinazione del maestro Socrate, riconosce l'anima, spirituale e immortale, come vero baricentro del soggetto umano

😧 ma l'anima non è unita al corpo in modo unico e irrepetibile (Platone accetta la metempsicosi), per cui il soggetto è diviso e la responsabilità che gli compete è intesa riduttivamente

😃 la aspirazione alla giustizia e la non rassegnazione alla cattiva "normalità" della convivenza civile esprime una aspirazione autentica

😧 ma la forma utopica, presente nella maggiore opera politica di Platone, la Repubblica, non è realistica ed è potenzialmente fonte di progetti di cambiamento sociale e politico oggettivamente violenti

Sui limiti del Platone teorico dell'amore e pedagogo molto (probabilmente troppo) severo è il giudizio dello psicanalista Giacomo Contri e dei suoi collaboratori (si veda il loro sito società amici del pensiero/): irrealistica vi appare la sua idea di amore (/sessualità) e negativa la in realtà si tratta di una concezione ampiamente condivisa nella cultura greca, e come sempre accade, un filosofo è condizionato dal suo contesto storico soprattutto sui problemi pratico-politicisua concezione di rapporto adulto/ragazzo.

Resta il fatto che Platone è stato uno dei più grandi filosofi della storia, e maestro di un altro tra i più grandi, Aristotele: non a caso a lui si sono rifatti moltissimi filosofi a lui successivi (come Cartesio e Hegel, per citarne solo alcuni).

Degno di nota è anche l'influenza che esercitò sulla filosofia cristiana del Medioevo, e in particolare su S.Agostino e i suoi "seguaci", influenza che possiamo giudicare come di ambivalente valore:

😃 se fornì, da un lato, solidi argomenti filosofici per fondare una concezione in cui si affermasse la trascendenza e il suo primato

😧 contribuì a far intendere tale trascendenza come qualcosa di staccato e di contrapposto al mondo sensibile, con ricadute negative sul piano pratico (una certa idea di ascesi, come disprezzo del mondo)

😧 in ambito gnoseologico ciò si traduceva in una ripresa del suo innatismo, sia pur corretto, con rischio di non valorizzare adeguatamente l'importanza della novità apportata dall'esperienza sensibile

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Le idee per Platone

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