una foto del filosofo

Maurice Blondel

un filosofo cattolico in dialogo coll'umanità moderna

🪪 Cenni sulla vita

Nato a Digione il 2 novembre 1861. Si sentì in un primo tempo attratto dal sacerdozio. Nella città natale frequentò il Liceo, quello statale, non quello dei gesuiti, da poco fondato a Digione. Vi ebbe come docente di filosofia Alexis Bertrand (1850/1922) che interpretava Maine de Biran nel senso del dinamismo leibniziano. Frequentò poi la Faculté, dove ascoltò da Henry Joly (estate 1881) delle lezioni sul vinculum substantiale di Leiniz, concetto che lo avrebbe poi molto interessato.

Entrò nel 1881 all'École Normale Supérieure di Parigi, dove ebbe come maestri Boutroux e Ollé-Laprune. “Agrégé de philosophie” nel 1886, insegnò dapprima in un di Aix-en-Provence, fino al 1889, quando chiese un congedo per preparare la sua tesi di dottorato, l'Action, discussa nel 1893. Le sue tesi incontrarono una certa ostilità da parte di certi accademici della Sorbona. Ma egli fu avversato anche all'intero del mondo cattolico, in particolare dai settori più conservatori, come l'Action française, capeggiata dall'“ateo cattolico” Charles Maurras. Insegnò all'università di Aix-en-Provence, nel Sud della Francia (il “Midi”) dal 1896. Morì, sempre ad Aix-en-Provence, nel 1949.

📔 Opere principali di Maurice Blondel

titolo originale titolo tradotto anno
Carnets intimes[data incerta]
L'ActionL'azione1893
Lettre sur les exigences de la pensée contemporaine1896
Histoire et dogme. Les lacunes philosophiques de l'exégèse moderne1904
Le point de départ de la recherche philosophique1906
Le quinzième centenaire de la mort de Saint Augustin1930
Le problème de la philosophie catholique1932
La Pensée1934
L'Être et les êtres1935
La métaphysique comme science de l'au-dela intérieur et superieur à la nature comme au sujet1947
Correspondance1947
Exigences philosophiques du Christianisme1950

L'intento fondamentale

L'intento fondamentale di Maurice Blondel è di comunicare il cristianesimo come l'unica ipotesi interpretativa convincente della realtà. Cioè il suo è un intento che si potrebbe chiamare apologetico (e militantemente apologetico).

Tuttavia egli non si mette nell'atteggiamento, tipico di una certo clericalismo, di uno che sa tutto e vuole insegnare (o meglio imporre) ad altri una dottrina. Ideologicamente. Astrattamente. Come guardando dall'alto in basso, lui che possiede qualcosa che ha capito, coloro che ancora non hanno capito. No: è la sua stessa umanità che è impegnata in prima persona nella verifica, una verifica non scontata, di quello che si propone di comunicare agli altri.

Si potrebbe dire, usando un lessico non suo, che a Blondel interessa vivere (ciò che comunica), piuttosto che “avere (astrattamente) ragione”.

Il metodo

Perciò Blondel ritiene non più adeguato (se mai lo sia stato in passato) il metodo seguito dalla neoscolastica per convincere della verità del cristianesimo: far leva sulla dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio e su una indagine razionale dei motivi di credibilità della Rivelazione cristiana, visti come qualcosa che non c'entra con l'umanità che noi siamo.

Lo schema scolastico era più o meno questo: sappiamo che oggettivamente esiste Dio, che ci ha creati e che ci chiede di osservare una certa legge e di riconoscere Gesù Cristo come colui che ha pienamente rivelato la legge e ha reso possibile, con la sua grazia, seguirla effettivamente. Quindi dobbiamo credere.

Tutto, insomma, poggiava su una oggettività da conoscere. Una oggettività che, come si è detto, nulla dice alla nostra soggettività.

Per Blondel invece bisogna partire proprio dalla soggettività che noi siamo, dal nostro inestirpabile bisogno dei felicità (e di giustizia e di amore, e di libertà).

Ed è il bisogno, o meglio il desiderio, di una felicità infinita, che quindi solo in Dio (che è Infinito) e in Cristo (l'unico che può condurci al Dio infinito) può trovare risposta adeguata, è tale desiderio che costituisce il cardine di una apologetica cristiana. È tale desiderio ciò su cui far leva per dialogare con l'umanità contemporanea. Una umanità che non si lascia più convincere da prove puramente (e astrattamente) razionali dell'esistenza di Dio o da indagini astratte sulla attendibilità dei testi sacri. Ma che non è indifferente rispetto alla ricerca della felicità.

Più che sulla conoscenza, dunque, il dialogo con l'umanità attuale, che è poi anche l'umanità che noi siamo, deve far leva sull'affettività. Sul desiderio. Abbiamo in noi un desiderio, anzi siamo costituiti fin nelle nostre più intime fibre, da un desiderio che solo in Cristo può trovare risposta.

In tal modo l'esperienza cristiana non è più, come nello schema clericale, purtroppo invalso nella chiesa post-tridentina, qualcosa che bisogna fare. Ma torna ad essere, come era alle origini, qualcosa che ci conviene fare. Perché risponde alle nostre esigenze. Ci corrisponde.

Un metodo soggettivista?

Questa idea del cristianesimo come risposta a una esigenza soggettiva significa forse che crediamo illudendoci, cedendo a una illusione, pur di soddisfare una esigenza puramente soggettiva, ma priva di fondamenta oggettive?

No. Anzitutto perché la nostra soggettività è qualcosa di strutturato e di non manipolabile: potremmo dire che è, in questo senso, qualcosa di oggettivo. Infatti nessuno può spegnere il desiderio di felicità infinita: c'è. Ci piaccia o non ci piaccia.

In secondo luogo Blondel non nega che esistano motivi di credibilità del cristianesimo anche sul fronte dell'oggettività “esterna”. Solo che per lui ha senso considerare tali motivi, oggettivo-conoscitivi, sempre in subordine all'esigenza (soggettiva) di felicità, sempre all'interno cioè di un cammino di ricerca di realizzazione umana, e non come obbedienza a qualcosa di totalmente estraneo a noi.

problemi particolari

il problema della conoscenza

Su questo punto, come spiegano gli articoli qui sotto elencati, Blondel venne contestato da Garrigou-Lagrange, filosofo e teologo neotomista, che lo accusò, in estrema sintesi, di relativismo.

Le tesi di Blondel in effetti, nel pur giusto intendo di evidenziare come sia decisiva, nella vita, la volontà, l'opzione libera della volontà, si era espresso con delle formule piuttosto infelici, come se non solo l'interpretazione globale corretta della realtà, ma la sua conoscenza originaria e primordiale, dipendesse da una scelta. Per cui se uno sceglie male, non conosce l'essere, non conosce la realtà.

Meglio sarebbe stato dire che chi sceglie male, chi usa cioè male della sua libertà, finisce con dare una interpretazione sbagliata della realtà, che comunque conosce e non può non conoscere. Certo, nella misura in cui uno pensa in modo sbagliato, finisce col percepire in modo alterato (la realtà): ma non tanto sul piano conoscitivo, quanto su quello emozionale.

In secondo luogo Blondel, nel pur giusto intento di non fermarsi a un livello analitico, parziale di conoscenza, e di arrivare invece a una valutazione globale, sintetica della realtà che sia adeguata all'urgenza della scelta fondamentale, finisce con relativizzare troppo i concetti.

Nella concezione scolastica tradizionale i concetti della nostra mente sono qualcosa di determinato e fisso. Blondel invece li concepisce come qualcosa di fluido e provvisorio, come delle pietre su cui il piede si appoggia per attraversare un fiume, senza fermarsi su di esse (pena il perdere l'equilibrio).

Anche qui: è vero che il neotomismo esagerava in una sorta di idolatria dei concetti, dando vita a un sistema che dava l'impressione di poter spiegare tutto, ma in modo arido e astratto. Lontano dalla vita. Tuttavia anche Blondel qualche rischio lo corre nella sua relativizzazione del concetto.

filosofia cristiana?

Ci fu, in Francia negli anni '30 del '900 una vivace discussione sulla possibilità di parlare di una “filosofia cristiana”.

Semplificando molto, da una parte c'era Maritain che, dando alla ragione una notevole autonomia, contestava il concetto di “filosofia cristiana”: la filosofia è filosofia, qualcosa che a cui tutti, credenti o meno, sono competenti (almeno per quanto riguarda la filosofia speculativa, perché sulla filosofia morale Maritain ammetteva un certo maggior bisogno di aiuto da parte della fede).

Blondel al contrario riteneva che senza l'aiuto della Rivelazione quello che la ragione umana riesca a costruire è ben poca cosa. Per cui l'unico tipo di filosofia davvero adeguata è appunto una “filosofia cristiana”, in cui fede e ragione si supportano reciprocamente.

Una via di mezzo tra i due era tenuta dallo storico della filosofia medioevale Étienne Gilson. Egli pur essendo essenzialmente tomista, come Maritain, da studioso della storia della filosofia era anche consapevole dell'apporto che la Rivelazione ha dato allo sviluppo delle idee.

Per un giudizio

Blondel ha avuto il merito di spianare la strada al rinnovamento teologico che ha portato a riscoprire, non contro, ma accanto a Tommaso d'Aquino, i Padri della Chiesa e in particolare S.Agostino. Senza tale rinnovamento teologico non sarebbero stati concepibili fenomeni come il Concilio Vaticano II, i movimenti ecclesiali e l'ecumenismo. E la Chiesa cattolica avrebbe continuato ad arroccarsi in una sterile totale contrapposizione all'umanità contemporanea.

Tuttavia Blondel si è probabilmente spinto un po' troppo in là nella sua critica al tomismo e alla conoscenza concettuale. E ha rischiato di proporre una fluidità eccessiva del pensiero e dello stesso dogma.

Si possono vedere gli articoli di Francesco Bertoldi nella bibliografia qui sotto (sulla sua polemica con i neotomisti).

📚 Bibliografia essenziale

Articoli

Contributi

Il pensiero di Blondel è indubbiamente legato a quello di S.Agostino, da cui riprende il taglio esistenziale e il tema del desiderio. Minore è l'affinità con Pascal.

Egli è poi il principale ispiratore filosofico della cioè la teologia, fiorita in Francia, nei decenni centrali del '900, soprattutto tra teologi gesuiti, che recuperava la Patristica, andando oltre le secche di un neotomismo aridamente intellettualistico; tra i suoi esponenti Henri de Lubac, Daniélou, Fessard, Bouillard e in qualche modo anche Hans Urs von Balthasar (i nouveaux lo chiamavano «il nostro Hegel»): si veda ad esempio de Lubac.

Grande è stato il suo influsso anche su don Luigi Giussani, fondatore dei Comunione e Liberazione, in particolare sul tema del cristianesimo come corrispondenza alle esigenze umane.