la Costituzione italiana

l'Assemblea costituente

L'Assemblea costituente venne eletta contestualmente al referendum del 2 giugno 1946 e lavorò da tale mese fino al dicembre dell'anno successivo, elaborando la nostra Costituzione, che entrò in vigore il 1 gennaio 1948.

La composizione dell'Assemblea, eletta a suffragio universale (per la prima volta anche femminile) e col sistema proporzionale, è evidenziata nella tabella e nel grafico seguenti:

la composizione dell'Assemblea Costituente
la composizione dell'Assemblea Costituente

Partiti

voti

% voti

seggi

DC

8.080.664

35,18

207

PSIUP

4.758.129

20,72

115

PCI

4.356.686

18,97

104

UDN

1.560.638

6,79

41

UQ

1.211.956

5,28

30

PRI

1.003.007

4,37

23


Le scelte fondamentali dei costituenti

La Costituzione (vedi il testo) fu il frutto di un compromesso tra le forze di sinistra, che si avvicinavano al 40%, la DC, espressione del mondo cattolico, al 35%, e le forze laiche (repubblicani, liberali); non parteciparono alla sua elaborazione le forze che non si riconoscevano nei valori antifascisti e repubblicani.

Il clima politico era quello di una residuale unione tra le forze antifasciste, venato però da un crescente, reciproco sospetto tra i moderati filooccidentali e i socialcomunisti.

Frutti del primo fattore, di collaborazione, furono gran parte dei principi sanciti nella prima parte della Carta, che vedono una affermazione sia dei valori della persona singola sia di quelli della collettività.

Esito anche del secondo fattore, la diffidenza reciproca, oltre che conseguenza di una particolare ripugnanza per rischi di derive autoritarie, accentuata da 20 anni di dittatura, furono le scelte della seconda parte della Costituzione, che distribuisce il potere in modo molto bilanciato, evitandone una concentrazione, anche a rischio di generare un assetto tendenzialmente immobilistico e per così dire indecisionista:

il parlamentarismo

Parlamentare e non presidenziale è la Repubblica italiana. Si sarebbe potuto imitare l'esempio di una grande democrazia come gli Stati Uniti, optando per il presidenzialismo, ma troppo forte era il timore di concentrare nelle mani di una sola persona un così grande potere. Meglio un potere distribuito su più soggetti, meglio dunque fare del Parlamento, dove si contrappongono e si bilanciano diverse spinte, il centro della vita democratica.

il bicameralismo perfetto

Questa scelta va nella stessa direzione della prima: due camere aventi gli stessi poteri si bilanciano e in qualche modo frenano possibili atteggiamenti decisionistici, rallentando i lavori di approvazione delle leggi, il cui testo deve passare nei due rami del Parlamento esattamente nella stessa forma.

Altri stati, come la Germania, hanno invece un bicameralismo imperfetto, in cui le due camere hanno diverse competenze; il che snellisce l'iter legislativo e permette scelte più incisive (coi pregi e coi rischi che ne derivano).

il proporzionalismo

Nella medesima direzione va anche la scelta per il sistema elettorale proporzionale. A dire il vero non si tratta di una scelta costituzionale vera e propria (tant'è che per cambiare il sistema elettorale, all'inizio degli anni '90, non è stata necessaria una modifica costituzionale), ma di qualcosa che risulta implicato in modo strutturale nella architettura istituzionale voluta dai costituenti.

La scelta fui quella di evitare concentrazioni in pochi grandi partiti, come nel bipolarismo o nel bipartitismo favoriti da sistemi elettorali maggioritari, privilegiando la rappresentatività sulla governabilità: meglio che il governo non fosse troppo forte, non avendo alle sue spalle una maggioranza parlamentare ampia e omogenea, meglio maggioranze composite, propense al compromesso e alla mediazione, piuttosto che a un decisionismo unilaterale.

il referendum: solo abrogativo

Per ribadire la centralità del Parlamento, luogo di paziente mediazione e di attento compromesso, si scartò la possibilità di istituire dei referendum propositivi, tali cioè per cui il popolo stesso potesse approvare una norma di legge, attenendosi al solo referendum abrogativo, che si limita a togliere una certa legge (un suo articolo, o un comma), non stabilendo però che cosa porre al posto di ciò che viene abrogato: a ciò solo il Parlamento può provvedere.

In tal modo si riteneva di evitare “derive plebiscitarie”, in cui un qualche nuovo “uomo forte” avrebbe potuto trascinare, con facili ma ingannevoli slogan, il popolo in pericolose avventure.