il positivismo in Italia

Fu, nel complesso vicino al livello polemico del positivismo tedesco, anche per il suo legame con le spinte anticlericali e anticristiane del neonato Stato italiano. è appunto tale anticlericalismo il singolare collante tra positivismo e neohegelismo, che si verificò nella cultura filosofica italiana (emblematico è il fatto che il positivista Moleschott venne chiamato nel 1861 a insegnare all'università di Torino dal neohegeliano ministro dell'istruzione F. De Sanctis).

Roberto Ardigò (1828/1920)

Fu il più importante esponente del positivismo italiano. Ordinato sacerdote nel 1851, mise ben presto in crisi la sua fede, come già chiaramente apparve nel suo Discorso su Pietro Pomponazzi del 1869, in cui sosteneva la naturalità di tutti i fenomeni e che gli valse la sospensione a divinis; lasciò l'abito talare nel '71. Nel 1881 venne chiamato dallo stesso ministro dell'istruzione Baccelli alla cattedra di storia della filosofia all'Università di Padova, dove insegnò fino al 1909. Morì suicida nel 1920.

l'ignoto

Mentre Spencer riteneva che tra scienza e religione vi fosse compatibilità, in forza della sua teoria dell'Inconoscibile, per cui un certo livello della realtà non potrà mai essere conosciuto (di esso si deve dire ignoramus et ignorabimus), Ardigò sostenne la inutilità della religione, in virtù della sua teoria dell'Ignoto, per cui se di fatto la scienza non ha ancora spiegato tutto, di diritto essa può spiegare tutto e prima o poi tutto sarà spiegato, togliendo così ogni spazio alla religione.

il fatto

Centrale, nella concezione di Ardigò è il concetto di fatto: solo dei fatti possiamo essere certi, e i fatti si impongono con evidenza assoluta, naturale, senza che siano necessarie interpretazioni, reti teoriche di idee: il fatto è una realtà inalterabile, una realtà che noi siamo costretti ad affermare tale quale è data e la troviamo coll'assoluta impossibilità di toglierne o di aggiungerci nulla. Dunque il fatto è divino è dunque possibile una assoluta oggettività: la scienza è appunto tale conoscenza, neutrale e oggettiva.

L'insieme dei fatti costituisce la natura, che Ardigò dice di concepire come unità psicofisica, cioè unitariamente spirituale e materiale, ma che in realtà egli concepisce materialisticamente. Tutto è natura, niente vi è di soprannaturale, o di trascendente. La filosofia deve essere consapevole di tale invalicabile limite, ed è perciò definita come «scienza del limite» (peratologia, dal greco peras, limite).

l'evoluzione

Come per Spencer e altri positivisti la realtà è evoluzione. Tutto si spiega con l'evoluzione naturale, a partire dalla nebulosa primitiva, da cui si è originato il sistema solare fino a giungere alla formazione del regno minerale, poi di quello vegetale e infine di quello animale, evolutosi fino all'uomo.

Tratto costante dell'evoluzione per Ardigò è il passaggio dall'indistinto al distinto, suggerito dallo studio della vita psichica. Nell'evoluzione si intrecciano necessità e caso.

etica e pedagogia

L'etica non è dedotta da una legge naturale immutabile, che stia al libero arbitrio (inesistente) osservare, ma è frutto di abitudini indotte dalla società, che vuole autoconservarsi; in questo senso l'etica è parte della sociologia: il singolo non fa che interiorizzare dei valori determinanti per l'autoconservazione della società.

L'educazione a sua volta non è altro che la modalità con cui la società induce nei singoli le abitudini di cui ha bisogno per mantenersi dinamicamente in vita.

esponenti minori

Si possono ricordare Tommasi, Villari, Gabelli e Lombroso.

Salvatore Tommasi (1813/88), ne Il naturalismo moderno, 1866, si richiamò alla scuola di Galileo per sostenere l'autosufficienza del naturalmente osservabile a spiegare sé stesso: le leggi naturali bastano a spiegare i fatti osservabili, né occorre oltrepassarli ricorrendo alla metafisica.

Pasquale Villari (1826/1917) sostenne la centralità dei fatti, scevri da ogni componente metafisica, nell'indagine storiografica.

Aristide Gabelli (1830/91), pedagogista, intese l'educazione come formatrice di abitudini, piuttosto che come accumulo di nozioni:

Le cognizioni non poche volte, e forse il più delle volte, dopo un po' di tempo di desuetudine dagli studi, vengono in molta parte dimenticate, quando invece il modo di pensare dura tutta la vita, entra in tutte le azioni umane

Venne incaricato di redigere i programmi della scuola elementare italiana.

Cesare Lombroso (1835/1909), criminologo, sostenne la poi celebre teoria del delinquente nato, secondo cui esisterebbe una propensione al crimine, fondata sulla struttura organica di un individuo, e riconoscibile da tratti somatici che sarebbero ricorrenti nei delinquenti (fronte sfuggente, zigomi e mandibola pronunciati e simili). La pena, in tale ottica, più che punire una colpa, serve alla società per garantirsi contro i comportamenti distruttivi di tali individui.

Si può notare come l'indirizzo fortemente materialistico del Lombroso lo porti a trascurare le possibili cause non solo morali, ma anche sociali della criminosità. In tal senso le sue idee vennero viste negativamente anche “da sinistra”.