il XII secolo

le tre principali impostazioni filosofiche nel XII secolo
razionalismo sintesi di fede e ragione accentuazione della fede
Abelardo le scuole di Chartres e di S.Vittore S.Bernardo di Chiaravalle

Pietro Abelardo (1079-1142)

Accenniamo ad alcune linee-guida della sua concezione. Lo abbiamo collocato, nello schema poco sopra riportato, tra i razionalisti, come nel secolo precedente vi avevamo collocato i dialettici. A differenza di questi però Abelardo non contesta in modo esplicito alcun dogma.

Tuttavia la sua concezione di ragione introduce delle novità, rispetto alla tradizione cristiana a lui precedente, che non senza qualche ragione S.Bernardo, il suo più implacabile avversario, avrebbe giudicato pericolose per la fede.

il concetto di ragione

l'introdursi del valore del dubbio

In effetti, soprattutto nel Sic et Non, la sua opera speculativa forse più importante, A. si compiace di mostrare come, sul medesimo tema, si erano avute, anche tra quelle che venivano considerate come autorità (la Bibbia, i Padri), opinioni discordi (appunto, chi diceva sic e chi non: Sic et non).

Benché Gilson, nel suo autorevole studio La filosofia nel Medioevo, sostenga che A. non voleva con ciò mettere in alcun modo in dubbio il principio di autorità, ci sembra difficilmente negabile che l'immagine di ragione da lui suggerita sia una ragione in qualche modo compiaciuta del dubbio. L'atteggiamento mentale che A. sembra propugnare è quello di una indecisa perplessità, non su tutto certo (non mise mai in dubbio l'essenziale del dogma), ma almeno su un ampio ventaglio di questioni. Comunque si giudichi l'ampiezza dello spettro di questioni su cui è bene dubitare, è significativo che A. giudichi inevitabile e in qualche modo positivo il dubbio.

Così A. si discosta dalla tradizione, che concepiva la certezza come massimamente desiderabile. Con una metafora si potrebbe dire che per la tradizione la ragione deve cercare di aderire alla realtà come una ventosa aderisce, senza bolle d'aria, alla superficie su cui viene premuta. Per A. invece si guarda con compiacimento alle bolle d'aria (il margine di indecidibile dubbiosità) che separano la ventosa-ragione dalla superficie-realtà.

il concettualismo

A. prese posizione, come tutti i principali filosofi medioevali vissuti dopo Boezio, sul problema degli universali, sostenendo una posizione che è stata detta concettualismo. Egli nega che gli universali siano non solo ante rem (realtà esistenti anteriormente agli individui), ma anche in re: non esiste un che di identico nei diversi individui, a cui corrisponda il nome che pure viene applicato a diversi particolari (non esiste nelle tante cose particolari di color blu, un universale "blu" oggettivamente identico). Tuttavia ritiene di dover differenziare la sua impostazione da quella, puramente nominalistica, di Roscellino: i nomi, per A., non sono puri flatus vocis. Confessiamo però di non trovare convincente questa distinzione, che A. proclama e che si basa sull'idea di non-differenza (in-differentia) come diversa da quella di eguaglianza, per cui nei diversi individui vi sarebbero degli aspetti intelligibili universali tra loro non identici, ma non-differenti.

In ogni caso il concettualismo collima perfettamente con l'atteggiamento di valorizzazione del dubbio, espresso nel Sic et Non: se la ragione "balla" (come diceva là) è perché (come chiarisce parlando degli universali) non ha una presa sul reale, i suoi concetti, gli universali, non rispecchiano fedelmente aspetti intelligibili della realtà.

il concetto di coscienza morale

Come in ambito speculativo A. valorizza il dubbio, così fa in ambito morale. Come la ragione speculativa non è vista come tutta proiettata ad aderire, senza "bolle d'aria", al reale, così la ragion pratica, la coscienza morale "balla (un po')" nell'incertezza: non che dubiti di tutto, ma su molte questioni è strutturalmente esitante. Non basta infatti conoscere il bene in astratto, occorre declinarlo nella situazione concreta: ed è lì che la ragione pratica può trovarsi in condizione di non sapere bene quale strada prendere.

In questo senso A., in particolare nel suo Scito teipsum, dà grande importanza alla coscienza soggettiva: esiste, certo, un bene assoluto e oggettivo, esiste una legge morale universale; ma poi chi decide è la coscienza morale del singolo soggetto umano, che tale legge deve declinare nel concreto.

Ed è meglio, sostiene A., seguire la coscienza, anche quando oggettivamente essa sbagli, che andare contro coscienza, sia pure per fare ciò che è oggettivamente bene; è meglio fare il male credendolo bene, che fare il bene credendolo male. Rispetto alla oggettività della legge, è l'intenzione soggettiva che decide.

S.Bernardo di Chiaravalle (1091-1153)

Agli antipodi di Abelardo, S.Bernardo difende l'idea tradizionale di conoscenza. Si possono avere delle certezze, basta essere umili. Se Abelardo vede la realtà immersa in una sorta di nebbia non è perché ci sia oggettivamente nebbia, ma perché il suo sguardo è annebbiato, a causa del suo atteggiamento, riassumibile in una parola: presunzione.

Non occorre disperdersi in una conoscenza inquieta, volta a riscuotere l'ammirazione mondana: ciò che ci deve davvero interessare è la nostra felicità, che ha come condizione essenziale non un arzigogolo dialettico né una vuota erudizione, ma l'umiltà e la affezione a Cristo, ad esempio della Vergine Maria, per la quale B. ebbe un vivissimo attaccamento (è attribuita a lui la Salve Regina).

Non che non sia importante anche la conoscenza razionale, ma deve essere preceduta e alimentata dall'atteggiamento del cuore, pena il trasformarsi, deformandosi, in arida dispersività.

a metà tra Abelardo e Bernardo

Le scuole di Chartres e di S.Vittore (nome del convento di Parigi che ne fu centro) rappresentano qualcosa di in qualche modo equivalente a quello che S.Anselmo era stato nell'XI secolo: un punto di sintesi tra l'atteggiamento razionalistico e la reazione antirazionalista (che del resto, con S.Bernardo, non si configura come un vero e proprio fideismo, ma semplicemente come un fenomeno solo tangenzialmente filosofico).

la scuola di Chartres

Vivo vi fu l'interesse per la cosmologia, indizio di un rinnovato atteggiamento valorizzatore del livello creato-materiale della realtà.

Importante fu in questo senso Bernardo di Chartres, che compose un poema cosmologico ispirato al Timeo platonico, il De mundi universitate, in cui usa il concetto di anima del mondo, finendo con l'attirarsi le critiche pesanti di Guglielmo di S.Thierry, che lo costringerà a precisare di essere prima cristiano che platonico. Comunque la cosmologia prevalente a Chartres tenne presente, oltre al Timeo, anche le idee di Aristotele, in particolare l'ilemorfismo.

A Bernardo di Chartres viene attribuita la frase siamo nani sulle spalle di giganti:

Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.

Con queste espressioni si esprime bene al tempo stesso l'umiltà e la fierezza dei medioevali nei confronti della classicità: umili perché nani rispetto ai giganti classici, ma anche fieri di vedere più lontano di loro, in quanto avvalentisi della loro stessa conoscenza per guardare più in là.

Tra i filosofi di Chartres troviamo anche coltivato quello che si può chiamare un atteggiamento umanistico: così Teodorico di Chartres, che polemizzò contro i cornificiani, come li chiamava lui, cioè coloro che disprezzavano gli studi letterari in nome di una razionalità astratta, incurante della bellezza stilistica; così Guglielmo di Conches e Giovanni di Salisbury (♰ 1180), raffinato umanista, polemico contro i cornificiani, ma con una certa propensione allo scetticismo.

la scuola di S.Vittore

Il suo indirizzo è stato definito (ad esempio dal Gilson) "mistico". Comunque sia Ugo (1096-1141) sia Riccardo (♰ 1173) di S.Vittore valorizzano il sapere profano. Certo, lo valorizzano per ricondurlo ultimamente a una sintesi di tipo teologico-soprannaturale, ma nuovo è l'accento con cui consigliano di non disprezzare alcuna conoscenza profana:

Omnia disce. Videbis post nihil esse superfluum. Coartata scientia iocunda non est.

Omnia disce: impara tutto, non disprezzare alcuna conoscenza, alcuna forma di sapere (purché, ovviamente non vana e dispersiva). Videbis post: potrai anche non capire subito quale è il senso e l'importanza di ciò che apprendi, ma "dopo" lo vedrai; vedrai che niente è superfluo, che tutta la molteplicità cioè si può ricondurre ad una unità di significato, tutto potendosi connettere a tutto. Viceversa una scienza che si ponesse dei limiti, che avesse paura di affrontare qualcosa (di reale) non sarebbe felice, non sarebbe appagante, non rientrerebbe in una parabola di pienezza umana.