Berlusconi e Prodi a dei comizi

Leader e formazioni

della Seconda Repubblica

In generale

leader duraturi e formazioni politiche fluide

Nella Prima Repubblica le formazioni politiche erano più importanti dei singoli uomini politici: questi ultimi passavano, ma le formazioni politiche, i partiti, restavano. Non cambiavano né nome né caratteristiche ideologico-programmatiche: la DC rimase DC dal '46 al '92, il PCI idem, il PSI idem (pur con una parentesi di unione ai socialdemocratici), il PLI, il PRI anche. Leggera mutazione vi fu nel MSI che a un certo punto si fuse coi monarchici aggiungendo la dizione “Destra nazionale”. Invece i leader si alternavano: De Gasperi, Moro, Fanfani, Rumor, Forlani, De Mita e tanti altri. Certo Andreotti ebbe una vita politica straordinariamente lunga, ma non egemonizzò mai la DC, dentro cui rimase sempre uno dei tanti leaders.

Nella Seconda Repubblica invece i leaders, specie nel centro-destra, sono diventati più importanti delle formazioni politiche: certi leaders, ad esempio, restano, mentre le loro creature politiche passano. Il caso più eclatante è quello di Sivio Berlusconi: è stato il leader di Forza Italia (1994-2009), poi del Popolo delle Libertà (2009-13) e poi ancora di una rinata Forza Italia (dal 2013).

Ma formazione politiche che sono state almeno a lungo “proprietà personale” del loro leader-fondatore sono state anche la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle. Per molto tempo pensare la Lega senza Bossi, o i 5 stelle senza Grillo, sarebbe stato impossibile. La Lega era Bossi, i 5 stelle erano Grillo (tant'è che anche lessicalmente gli appartenenti a tale movimento erano correntemente chiamati, senza particolare disprezzo, “grillini”).

Berlusconi e Forza Italia - PdL

Berlusconi

Berlusconi fa le corna

1. Lo stile. Il personaggio Berlusconi è sicuramente stato uno dei più rappresentativi della Seconda Repubblica. Anzitutto il suo stile comunicativo, pur senza raggiungere i livelli di rozzezza di Umberto Bossi, è stato decisamente più estroso e imprevedibile, più “urlato”, più dirompente, più a effetto, meno pensoso, serio e sobrio di quello a cui avevano abituato i politici della Prima Repubblica.

E non si trattava solo di uso del vocabolario, ma anche la gestualità di Berlusconi era inconcepibile per un politico della Prima Repubblica: si pensi a quando fece le corna in una foto di gruppo di politici europei.

2. Il personaggio è stato molto discusso: c'era chi lo venerava, e chi lo demonizzava, vedendolo come una sorta di despota sfrenato, che tutto vuole piegare ai suoi capricci e ai suoi interessi vergognosamente egoistici. In realtà Berlusconi è stato certamente un leader molto sicuro di sé e molto compiaciuto dei suoi indubbi, notevoli successi in campo imprenditoriale (Mediaset e tutto un suo vasto impero economico-finanziario). Questa disinibita “scioltezza” nel prendersi quello che voleva, di cui ha dato prova anche in campo affettivo, non va tuttavia vista solo in uno suo possibile aspetto negativo: è stato anche un uomo capace di generosità, non mancava di una sua sincerità e di una sua sensibilità, e ha comunque dato lavoro a molte persone.

L'avversione a Berlusconi era forte soprattutto in chi, attaccato alle regole e a una visione un po' paludata, e ingessata, della vita politica, era fortemente infastidito dal suo sfacciato successo e dalla sua irrefrenabile spontaneità così insofferente per le regole.

3. Le disavventure giudiziarie. Berlusconi è stato un personaggio corrotto? Come minimo, molto meno di quanto lo abbiano dipinto i suoi più accaniti avversari. Data infatti la sua indubbia abilità imprenditoriale non appare necessario attribuire il suo successo economico a chissà quali losche manovre. Che poi l'uomo si sentisse poco tenuto a rispettare tutte le regole, e che volesse prendersi quello che più gli interessava andando anche oltre qualche regola, è cosa poco contestabile. Ma non è forse qualcosa che lo accomuna a tantissimi altri imprenditori del suo calibro? Gli altri però non sono stati fatti oggetto di un “accanimento indagatorio” anche solo lontanamente paragonabile a quello a cui lui è stato sottoposto.

le “creature politiche” di Berlusconi

la prima Forza Italia (1994-2009)

Berlusconi fondò, nel 1994, in tempi decisamente brevi, una nuovo formazione politica, Forza Italia, che potesse contrapporsi a una sinistra egemonizzata dall'ex Partito Comunista (che allora aveva cambiato nome in PDS) e che rischiava di prendere il potere, giovandosi dello sfascio del vecchio “centro” (DC, PSI e alleati) in seguito alle indagini di “Mani Pulite”, e col potere rischiava di mettere sul lastrico lo stesso Berlusconi, distruggendo le sue reti televisive. In effetti l'allora leader del PDS, Achille Occhetto, che chiamava non a caso la sua coalizione una «gioiosa macchina da guerra», aveva espressamente detto di voler sfasciare, se avesse vinto, l'impero televisivo del Cavaliere (impero che era il cuore del suo più ampio impero economico).

In tale formazione, che pure non era la prosecuzione di alcun partito della Prima Repubblica, ma una realtà sorta “dal nulla”, confluirono comunque anche alcuni politici già rodati, come (soprattutto) esponenti craxiani del PSI.

Forza Italia accoglieva peraltro al suo interno una componente laica, essenzialmente liberale (meno tasse possibile e meno Stato possibile), una ex-socialista, che peraltro non conservò alcuna propensione per i tipici ideali del socialismo, e una (in qualche modo) cattolica. A quest'ultimo proposito va ricordato che le presidenze della CEI di Ruini prima e Bagnasco poi tennero una linea (che Massimo Borghesi chiama giustamente teo-con), che di fatto convergeva con quella di Berlusconi: soprattutto dopo l'11 settembre e con la crescente presenza islamica in Italia e in Europa, era necessario far quadrato attorno ai valori identitari tradizionali per fronteggiare tali minacce “esterne”. In questo senso si afferma un progetto di religione civile, di cui in qualche modo si fece paladino anche l'amico di Berlusconi, il giornalista Giuliano Ferrara, che si definì significativamente “ateo devoto” (cioè l'importante non è credere in Dio, e men che meno in Cristo, ma affermare i valori religiosi, necessaria stampella del vivere civile).

Il Popolo delle Libertà (2009-13)

Questa nuova formazione politica nasce nel 2009 dalla fusione di Forza Italia e di Alleanza Nazionale (a sua volta nata dalla trasformazione del MSI voluta da Fini).

In essa peraltro la componente decisamente dominante restò quella berlusconiana di Forza Italia. Come si sarebbe visto chiaramente quando Berlusconi la questione è un po' più complessa, d'accordo, ma la sostanza è che Fini e chi stava con lui dovettero andarsene dal PdLcacciò Fini, nel 2010.

In tale occasione solo una parte di quello che era stata Alleanza Nazionale seguì Fini, mentre molti, tra cui Gasparri e La Russa restarono nel PdL.

la nuova Forza Italia (dal 2013)

Da buon estimatore del marketing anche elettorale, Berlusconi a un certo punto valuta che sia più conveniente scindere l'anima liberale da quella nazionalista presenti nel PdL, e decide quindi che il PdL torni ad essere Forza Italia e che chi vuole invece riprendere la trama interrotta di Alleanza Nazionale lo faccia pure, con la sua benedizione. Purché si resti poi buoni amici e naturali alleati.

Così, dalla costola destra del PdL torna ad esistere una formazione di estrema destra, Fratelli d'Italia (in realtà già nel dicembre 2012), mentre il resto di PdL (ri)diventa, appunto, Forza Italia (in cui peraltro resta anche qualche ex-missino, come Gasparri).

l'estrema destra

da Fini alla Meloni

dal MSI ad AN

vignetta sul congresso di Fiuggi
il Duce con Fini che spegne la fiamma

Dopo la “caduta del muro di Berlino”, parallelamente alla trasformazione del Partito Comunista Italiano in PDS, il MSI, erede del Partito Nazional Fascista, e guidato da Gianfranco Fini, delfino di Giorgio Almirante, si trasforma, col Congresso di Fiuggi, in Alleanza Nazionale (AN).

Fini non rinnega il fascismo (come del resto Occhetto non aveva rinnegato il comunismo), ma spiega che la destra (in Italia) viene da prima del fascismo ed è più grande (più ampia) del fascismo.

Insomma, non una vera e propria revisione, nessun mea culpa, ma un “sarà anche stato bello il fascismo, ma adesso è tempo di voltare pagina”.

E in effetti Fini fece molto per accreditarsi come post-fascista: ad esempio ostentò una posizione decisamente filo-israeliana, per fugare i dubbi di un possibile antisemitismo (ereditato da Mussolini, alleato di Hitler).

da AN al PdL

Poi, come già detto, ci fu la fusione con Forza Italia nel PdL, che scioglieva ancora di più quanto poteva restare del MSI (e del fascismo).

Ma la cosa non durò molto. E Fini venne colpito anche sul piano personale da indagini giudiziarie, che lo spinsero a gettare definitivamente la spugna dell'impegno politico.

dal PdL a Fratelli d'Italia

accendino con fiamma tricolore

Lo scioglimento del PdL fu quasi contestuale, e non a caso, alla nascita di Fratelli d'Italia.

Inizialmente ciò fu ben visto dallo stesso Berlusconi, che incoraggiò La Russa a questa iniziativa, calcolando che sì, FI avrebbe perso voti, ma la coalizione (di centro-destra) ne avrebbe guadagnati.

Nel corso degli anni però accade che Berlusconi perde sempre più quota: un po' per per la condanna giudiziaria definitiva che lo rende ex-cavaliere, un po' per l'età, un po' perché spira un forte vento anti-europeo e FI è il meno anti-europeo dei partiti del centro-destra.

Di fatto, di lì a non molto, la Lega di Salvini riesce in un'impresa che fino a qualche anno prima sarebbe sembrata impossibile: soffiare a Berlusconi la leadership del centro-destra, forte del fatto che la Lega era stata l'unica a non appoggiare il governo Monti.

A quel punto emerge la figura, giovane e dinamica, della Meloni, che impara l'arte da Salvini: essere l'unica forza di opposizione (nel suo caso: del governo Draghi) frutta. Perché consente di mietere il consenso di tutti gli scontenti del governo in carica.

Così la Meloni può permettersi il lusso di guidare una rinnovata forza di estrema destra come egemonica del centro-destra. E di esibire orgogliosamente simbologie e lessico (neanche tanto velatamente nostalgici dei bei tempi del Duce), che Fini pensava di aver seppellito per sempre a Fiuggi.

La Lega (Nord)

da Bossi a Salvini

gli inizi

simbolo della Lega
il simbolo della Lega

Inizialmente la Lega Nord (nata dalla confluenza di diverse forze regionaliste del Nord, come L'union piemoteisa, la Lega Lombarda e la Liga Veneta) si immedesima con Umberto Bossi e propone un programma volto a liberare il Nord (la invano il prof. Gianfranco Miglio propose il nome, troppo raffinato, di “Eridania”, da un antico nome del Po, per la sua tortuosità“Padania”) dal giogo, soprattutto fiscale, di Roma (intesa come Stato centrale, e a cui viene affibbiato il titolo di “ladrona”: “Roma ladrona / la Lega non perdona”). Un giogo che prelevava soldi dal Nord per sprecarli in un assistenzialismo verso il Sud che, del resto, non lo aiutava nemmeno, perché lo lasciava vivere di aiuti di Stato invece che del lavoro delle proprie mani.

La soluzione proposta era il federalismo: che il Nord potesse il più possibile autogovernarsi e trattenere il più possibile per sé le proprie risorse fiscali.

Come abbiamo già detto, inizialmente l'ideologo della Lega Nord fu Gianfranco Miglio, che si vantava di avere una nonna che contava le galline in tedesco (eins, zwei drei etc.); questo aneddoto suonerà anche bislacco, ma è sintomatico di come una donna del Nord (Italia), per quanto di condizione umile (aveva un pollaio con delle galline), si sentisse legata (anche linguisticamente) all'Europa produttiva, al “Nord”. Il tema del federalismo era talmente vivo nella Lega degli inizi che, in un dibattito televisivo, a cui partecipava anche Bossi, Miglio sbottò con un “se non ci ascoltano avremo la nostra Algeria” (ossia una rivolta Al che Bossi, gli va dato atto, da buon comunicatore, cercò di buttare acqua sul fuoco, stemperando molto la portata di tale inquietante minaccia, che gli si poteva ritorcere contro.).

leghisti a Pontida
leghisti a Pontida

Inizialmente, ancora, la Lega Nord non voleva farsi incasellare in schieramenti politici preesistenti: Bossi teneva a sottolineare la sua distanza tanto da Roma-Polo (il Polo delle Libertà capeggiato da Berlusconi) quanto da Roma-Ulivo (lo schieramento progressista). Il punto insomma non era Lega di destra contro la sinistra, ma Lega per il federalismo contro Roma, cioè uno Stato accentrato. In quest'ottica vennero svolte elezioni (prive di qualsiasi valore giuridico ufficiale, e a cui partecipò soltanto chi tifava per la Lega Nord) per eleggere un Parlamento del Nord, il Parlamento di Mantova. E a tali elezioni si presentarono diverse anime della Lega, comprese delle componenti sedicenti comuniste (i “comunisti padani”, guidati da Matteo Salvini).

Sintomatica di questa non organicità al centro-destra sarà il ribaltone, con cui Bossi fece cadere il primo governo Berlusconi. Tuttavia in un secondo tempo, e da allora in modo affidabile, la Lega si adatterà ad essere un partito organicamente parte del centro-destra. Anche se rifiuterà sempre di confluire in un partito unico del centro destra, quale ambiva ad essere, ad esempio, il PdL.

Bossi disarcionato

La leadership di Bossi, che sembrava destinata a non finire mai, ricevette un primo duro colpo da un evento imprevedibile: un ictus che lo colpì nel marzo del 2004, causandogli gravi danni motori e di difficoltà nella fonazione.

Bossi non abbandonò subito la vita politica, anche se la semi-infermità da cui non si riprese mai, costituiva un serio problema per un politico.

Il secondo colpo furono le indagini giudiziarie che coinvolsero lui e membri della sua famiglia e della Lega. A quel punto, nel 2012, Bossi annuncia il suo ritiro dalla guida della Lega (e, in pratica, anche dalla politica attiva).

Per breve tempo gli succede Roberto Maroni, un esponente ben più posato e “tranquillo” del Fondatore. Privo però del suo “carisma” e poco incisivo nella proposta politica.

Salvini e la Lega Nord (dal 2013)

ascesa e declino di una Lega nazionale

Matteo Salvini arriva al potere nella Lega Nord battendo nel 2013, e in modo schiacciante (coll'82% dei voti leghisti), il fondatore, Bossi, che cercava invano di tornare in sella.

In effetti Salvini ha saputo guidare la Lega in modo da consentirle un successo senza precedenti. Lo ha fatto cancellando la caratteristica di partito del Nord; non per nulla ha tolto dalla denominazione la parola Nord, per cui la Lega Nord, è diventata “Lega”, come in effetti era già anche prima chiamata, ma solo per brevità, mentre con Salvini la cosa diventa di sostanza.

Salvini e una nave di migranti
Salvini e una nave di migranti

Salvini capisce che, in tempi di immigrazione di massa, il nemico da battere non possono più essere “i terroni” (gli abitanti del Sud, anche quelli venuti al Nord), ma devono diventare gli immigrati (anche a costo di allearsi coi “terroni”).

In questo modo riesce a fare della Lega un partito nazionale, che prende molti voti anche al Sud. E, capitalizzando il fatto di essere stato l'unico a non appoggiare il governo Monti, riesce a far diventare, per qualche tempo, la Lega la forza egemone del centro-destra, umiliando Berlusconi.

Finché, dopo aver formato nel 2018, un governo con i 5 Stelle, e aver ulteriormente accresciuto i suoi consensi grazie alle spettacolari operazioni di blocco delle navi di migranti, crede, erroneamente, sia giunto il momenti di capitalizzare definitivamente il consenso raggiunto e si defila (agosto 2019) dal governo Conte I, sperando in elezioni anticipate, che certifichino il suo trionfo.

Ma così non accade, e nelle successive elezioni (2022) sarà la Meloni a diventare la forza egemone nel centro-destra. Anche perché l'originale è meglio della copia: il partito che è sempre stato nazionale, è più affidabile di chi lo è diventato (per evidenti motivi di calcolo elettorale).

la sinistra: dal PCI al PD

Mentre il centro-destra, nella Seconda Repubblica, ha avuto una sola formazione (AN-FdI) che fosse la continuazione/trasformazione di un partito della Prima Repubblica, a sinistra la scena è quasi interamente tenuta da una formazione che deriva da partiti della Prima Repubblica: parliamo del PDS-DS-PD.

dal PCI al PDS (1991-98)

logo del PDS
logo del PDS

Come abbiamo già detto nella pagina sulla Seconda Repubblica, fu Achille Occhetto che prese atto della fine dell'esperienza storica del comunismo, la “caduta del muro di Berlino”, episodio-simbolo della caduta dei regimi comunisti nell'Europa orientale. E volle che quello che era stato il Partito Comunista Italiano (PCI) cambiasse nome e non puntasse più a instaurare una società comunista, ma si accontentasse di un obbiettivo molto più modesto: tutelare gli interessi dei lavoratori dipendenti, perseguendo la massima giustizia sociale compatibile con una democrazia rappresentativa e con un'economia di mercato.

Non tutti i membri del vecchio PCI accettarono la svolta, e alcuni non entrarono nel nuovo partito fondando Rifondazione Comunista. Tra di essi spiccò Fausto Bertinotti.

Va detto peraltro che il PDS nasce (un po' come AN) senza una seria analisi degli errori fatti dal comunismo reale, senza un serio mea culpa per aver appoggiato dei regimi spietatamente (e sanguinosamente) repressivi. Insomma, il concetto era “il comunismo è finito, giriamo pagina”, ma senza dare un giudizio.

I Democratici di Sinistra (1998-2007)

logo dei DS
logo di DS

Il PDS cambiò ancora nome nel 1998 diventando Democratici di Sinistra.

Questo cambiamento significava un tentativo di virare più decisamente verso un'idea socialdemocratica: avrebbe dovuto essere un partito progressista, a basso tasso ideologico e il più possibile allineato con le formazioni progressiste d'Europa.

Significativamente dal simbolo spariscono la bandiera rossa con la falce e il martello, legati alla tradizione comunista e compare la rosa, legata invece alla tradizione socialista (era nel simbolo del PSI sotto Craxi).

I DS aderirono in effetti all'Internazionale socialista, come il PCI non aveva mai potuto fare (anche per l'opposizione di Craxi).

In questo contesto emergono esponenti, come Walter Veltroni e Piero Fassino, che più si discostavano dall'eredità comunista e puntavano all'unità della sinistra (il progetto dell'Ulivo, voluto in particolare da Romano Prodi, per unire cattolici progressisti e i post-comunisti di DS).Il progetto “ulivista” si concretizzerà poi con la nascita del PD.

Da parte dei settori nostalgici peraltro ci fu insofferenza per questo spostamento verso il centro, un'insofferenza espressa dall'attore e regista Nanni Moretti in un suo film del 1998 (Aprile), quando apostrofò così l'esponente DS: «D'Alema, di' qualcosa di sinistra!»

il Partito democratico (dal 2007)

logo del PD
logo del PD

Il Partito democratico (PD) nasce dalla confluenza tra i cattolici progressisti, raccolti fino a quel momento soprattutto nella Margherita, e i DS. Non per nulla nel logo del PD è presente un rametto di ulivo, a simboleggiare il progetti ulivista, a cui si è appena accennato.

Rispetto ai DS, quindi, il PD segna un ulteriore allontanamento dalla tradizione comunista. Anche se rimane una certa diffidenza verso tutto ciò che è privato e spontaneo, e una sopravvalutazione della necessità e dell'importanza delle regole.


Renzi (2013-18)

o un PD davvero europeo

vignetta su Renzi
Renzi come pifferaio

Il tentativo più interessante di smaltire ciò che restava di comunista (il “fattore K”) nel PD venne fatto dal cattolico, ex sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Giovane e dinamico, benché spregiudicato talora fino all'eccesso, perseguì un programma realmente riformista, senza alcuna ostilità verso il mercato e il merito.

Il limite di Renzi, che pure riuscì a portare il PD a successi elettorali inauditi (oltre il 40%), fu quello di credere di poter fare tutto da solo. E così, impegnatosi in una impresa ciclopica, come una ampia riforma della Costituzione, egli venne sconfitto al referendum che avrebbe dovuto decidere se tenere o meno tale riforma, e dovette poi abbandonare il PD.

La parabola di Renzi, politico che riesce a ottenere mirabolanti successi in giovane età, potrebbe essere accostata a quella di Salvini, anche lui giunto nell'olimpo della politica in giovane età: entrambi danneggiati da una eccessiva sicurezza in sé stessi, da una scarsa prudente saggezza.